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L’Agenzia delle entrate, con risposta n. 472 del 30 novembre 2023, ha ufficialmente dichiarato l’irrilevanza fiscale dell’eventuale differenza negativa tra quanto pagato per l’acquisto di un credito da bonus edilizio e il suo “valore nominale”.

Il caso trattato riguarda uno studio associato che svolge l’attività di ''Servizi forniti da dottori commercialisti''. L’associazione professionale intende acquistare un credito d’imposta che "(...) deriva dall'opzione esercitata da un contribuente titolare della detrazione, di cui all'articolo 119 del medesimo decreto Rilancio, spettante nella misura del 110 per cento delle spese sostenute nel 2022”. Vengono richiesti chiarimenti in merito “alla qualificazione fiscale del differenziale positivo conseguente al pagamento di un corrispettivo inferiore al valore nominale”.

L’agenzia ricorda che con l’introduzione del superbonus “(…) il legislatore ha inteso riconoscere ai contribuenti un'agevolazione, sotto forma di detrazione dall'imposta lorda, di ammontare superiore ai costi sostenuti senza, tuttavia, prevedere alcuna rilevanza reddituale di tale differenziale positivo (pari al 10 per cento delle spese medesime)”.

Il contribuente che realizza determinati interventi può utilizzare la detrazione d’imposta direttamente in dichiarazione oppure cedendola a terzi. Il credito ceduto potrà essere utilizzato dal cessionario in compensazione per il pagamento delle proprie imposte “(…) con la stessa ripartizione in quote annuali con la quale sarebbe stata utilizzata la detrazione”.

Tuttavia, con riferimento alla cessione del credito “(…) il legislatore non ha disposto in merito alla rilevanza reddituale del differenziale ''positivo'' derivante dall'acquisto del predetto credito a un valore inferiore a quello nominale prevedendo, coerentemente, l'irrilevanza dell'eventuale differenziale ''negativo'' derivante dal mancato utilizzo del credito in compensazione, atteso che non è possibile riportare ''in avanti'' o chiedere il rimborso dell'eventuale quota di credito d'imposta non utilizzata in ciascun anno”.

Si deve concludere, pertanto che “(…) in assenza di una specifica disposizione in tal senso, la rilevanza reddituale di tale differenziale va ricercata in applicazione delle regole generali di tassazione del reddito”.

L’agenzia, inoltre, punta l’attenzione sulla natura del “provento” percepito dalla studio, ritenendo fondamentale capire se tale “(…) differenziale positivo rientri in una delle categorie reddituali di cui al citato articolo 6 del TUIR”. L’agenzia ritiene che tale “provento” non rientra “(…) tra i redditi di capitale, i redditi di lavoro autonomo o i redditi diversi di cui, rispettivamente, agli articoli 44, 53 e 67 del TUIR”. Infatti, l'Istante intende acquistare crediti d’imposta che “(…) non originano da prestazioni professionali rese dallo Studio e/o da soggetti associati né rappresentano il corrispettivo in natura di prestazioni professionali rese dai medesimi soggetti”. Quindi, non essendoci una espressa previsione normativa, “(…) volta ad attribuire rilevanza reddituale all'eventuale differenziale positivo tra l'importo nominale del credito e il prezzo di acquisto dello stesso (…)” e considerato che tale differenziale non è riconducibile a “(…) una delle categorie reddituali previste dal TUIR (…)” allora tale “(…) acquisto non genera, in linea di principio, reddito imponibile in capo allo Studio Associato istante”.

Resta invariato, come chiarito con la circolare n. 23/E del 23 giugno 2023 (cfr. paragrafo 6.2.1), il fatto che “(…) i crediti acquisiti ai sensi del citato articolo 121 (…) in relazione a prestazioni professionali (ad esempio applicando il cd. sconto in fattura) rese nei confronti di committenti che hanno esercitato l'opzione ivi disciplinata costituisce un provento percepito nell'esercizio dell'attività professionale e, pertanto, assoggettato a tassazione ai sensi dell'articolo 54 del TUIR”.

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