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L'articolo 26, 2° comma, del DPR 633/72 prevede – tra i casi di riduzione dell’ammontare imponibile di un operazione già fatturata - la “risoluzione” dell’operazione. Non è chiaro se la risoluzione debba essere giudiziale o di diritto.

In altre parole, non è chiaro se debba essere incardinato un procedimento giudiziale e se si debba aspettare l’esito dello stesso, prima di operare la nota di variazione ai sensi dell’articolo citato.

L’agenzia delle Entrate con il Principio di diritto n. 11 del 6 agosto 2021 fornisce i chiarimenti in merito. L’Agenzia ricorda di essersi già espressa in materia con il precedente principio di diritto il n. 13 del 2 aprile 2019. Tale principio deve essere letto “(…) alla luce di quanto già affermato da quest'Amministrazione <<, ossia che, verificatasi una causa di estinzione di un contratto, in relazione alla quale il cedente o il prestatore abbia già emesso fattura per il prezzo ed assolto il conseguente obbligo di pagamento dell'Iva, il medesimo soggetto ha diritto di emettere la nota di variazione e di detrarre l'imposta,>>".

Resta inteso ovviamente che qualora intervenisse successivamente una pronuncia giudiziale – che dichiara infondata la dichiarazione risolutiva – devono essere confermate le “(…) pattuizioni e gli obblighi contrattuali originari”.

Pertanto, “(…) in presenza dell'attivazione di una clausola risolutiva espressa, in dipendenza della quale venga meno per intero o parzialmente un'operazione per la quale sia stata emessa fattura, (…) si considera legittima l'emissione - ai sensi dell'articolo 26 (…) D.P.R. n. 633/1972 - di una nota di variazione anche in presenza di una contestazione, in sede giudiziale, dei presupposti per l'attivazione della predetta clausola risolutiva espressa, senza che al riguardo si renda <<(...) necessario attendere un formale atto di accertamento (negoziale o giudiziale) del verificarsi dell'anzidetta causa di risoluzione>>.

Non è rilevante, quindi, l’istaurazione di un giudizio e il suo esito.

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