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La Corte di Cassazione con Ordinanza 27366 del 26 settembre 2023 ritorna sul tema del finanziamento soci.

In particolare, richiamando una precedente pronuncia (sentenza 17322 del 17 giugno 2021) i giudici sottolineano che: “la legittimità di un finanziamento soci, opponibile al Fisco, richiede la regolarità formale delle delibere assembleari e delle scritture contabili, in tempi coerenti con l’andamento finanziario del periodo: diversamente l’erogazione finanziaria deve ritenersi re-immissione in azienda di utili occulti”.

A sostegno di tale “principio” depone anche l’art. 2467 del c.c. ai sensi del quale “Il rimborso dei finanziamenti dei soci a favore della società è postergato rispetto alla soddisfazione degli altri creditori. Ai fini del precedente comma s'intendono finanziamenti dei soci a favore della società quelli, in qualsiasi forma effettuati, che sono stati concessi in un momento in cui, anche in considerazione del tipo di attività esercitata dalla società, risulta un eccessivo squilibrio dell'indebitamento rispetto al patrimonio netto oppure in una situazione finanziaria della società nella quale sarebbe stato ragionevole un conferimento”.

Pertanto, la Cassazione ritiene che la giustificazione “(…) sul piano del buon governo della società, dei finanziamenti a favore della stessa non possa fondarsi unicamente sulla deduzione della loro necessità e opportunità ma debba fondarsi quantomeno sulla individuazione di elementi, anche indiziari, non solo dedotti ma anche provati dal contribuente, atti a dimostrare la ragionevolezza del finanziamento a fronte della necessità dell’ente societario e quindi la sua convenienza quale utile alternativa al ricorso al credito bancario“.

Il contribuente ha l’onere di “(…) provare anche la effettiva provenienza del denaro oggetti dei finanziamenti dei soci, in particolare dando prova che gli stessi avessero la disponibilità finanziaria sufficiente per eseguire i finanziamenti, producendo idonea documentazione al fine di contrastare la valenza presuntiva degli elementi (…) offerti dall’Agenzia delle Entrate”. Potrebbe essere pertanto utile dare evidenza che il socio che ha erogato il finanziamento ha un tenore di vita in linea con il valore finanziato (magari allegando il modello reddituale). Oppure, se sussiste il caso, si potrebbe dare evidenza di operazioni di cessione (vendite di immobili) o di successioni a fronte delle quali il socio ha ottenuto liquidità. Ma non è così semplice dimostrare la provenienza del denaro (che magari è semplicemente frutto del “risparmio”).

La Corte ritiene quindi fondamentale:

- la regolarità formale delle delibere assembleari e delle scritture contabili;

- l’individuazione di elementi (anche indiziari) volti a dimostrare la ragionevolezza del finanziamento soci e la convenienza rispetto al ricorso al finanziamento bancario;

- la disponibilità finanziaria e la provenienza del finanziamento.

E’ difficile condividere la posizione assunta dalla Corte secondo la quale la mancanza della delibera assembleare depone quale prova di utili occulti. Si deve considerare, infatti, che vi possono essere diversi motivi per i quali non sia stato verbalizzato il finanziamento. Non c’è alcun automatismo né funzionalità tra la mancanza del verbale e l’evasione. Al più, in casi particolari (come quando scatta l’accertamento induttivo puro) la mancanza del verbale potrebbe essere assunta come prova semplice (prima dei requisiti di gravità, precisione e concordanza), ma sicuramente non è indirizzo assoluto di evasione.

Per altro, com’è prassi le società spesso usano uno scambio di corrispondenza (con data certa) a dimostrazione della loro volontà di finanziare la società. Si dovrebbe, inoltre, ricordare che il bilancio è espressione della volontà dei soci. Pertanto, la rilevazione del finanziamento nello stesso può essere opposta all’amministrazione finanziaria.

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