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L’Ordinanza 13850 del 20 maggio 2021 afferma che i finanziamenti infruttiferi intercompany non sono esclusi dalla disciplina del transfer pricing.

 Tuttavia, non esclude la possibilità che si possa giustificare la mancanza di onerosità. Infatti, la cassazione conclude l’ordinanza cassando la sentenza e specificando che la commissione regionale “(…) dovrà riesaminare la vicenda tributaria uniformandosi al seguente principio di diritto: (…) in caso di finanziamento infragruppo, erogato dalla controllante italiana a una società "veicolo" estera, l'Amministrazione finanziaria deve fornire la prova della transazione ad un tasso d'interesse apparentemente inferiore a quello "normale", (…) dopodiché, spetta alla società contribuente fornire la prova contraria (…) e dimostrare che il finanziamento gratuito è dipeso da "ragioni commerciali" interne al gruppo, connesse al ruolo assunto dalla controllante a sostegno delle consociate»”

Dello stesso tenore l’ordinanza n. 27636 del 12 ottobre 2021 in cui la Cassazione, riprese le fila della precedente ordinanza, ricorda che: “(…) la qualificazione di infruttuosità del finanziamento (…) è ininfluente (…)” e “l’Amministrazione finanziaria ha l’onere di provare l’esistenza di transazioni economiche (…) ad un prezzo apparentemente inferiore a quello normale (…) mentre spetta al contribuente provare che la transazione è avvenuta in conformità ai valori di mercato normali (…). Grava, invece, sulla società contribuente (…) l’onere di giustificare la concessione di un finanziamento infruttifero, onere che, secondo il giudice di appello, con valutazione di merito non sindacabile sotto il profilo della violazione di legge, non è stato assolto”. Nella fattispecie trattata dalla Cassazione, la CTR accoglieva il rilievo della società ricorrente che “la mancata applicazione degli interessi attivi nei confronti della controllata estera era giustificata dalla messa in liquidazione di quest’ultima società e dalla conseguente necessità di non aggravare la situazione di deficit patrimoniale della controllata, onde rendere più agibile la liquidazione del patrimonio della stessa senza ulteriori aggravi finanziari verso il gruppo”. Ebbene, la Cassazione ha ritenuto che questa sia una valida ragione commerciale.

Sul tema anche la Corte di Giustizia europea con la sentenza dell’8 ottobre 2020 (Causa C-558/19). Il caso affrontato riguarda una società rumena (Pizzarotti & C SPA), succursale di una società italiana, che aveva concluso (come mutuante) con la società controllante italiana due contratti di mutuo. Il tasso di interesse applicato era sostanzialmente nullo e l’Amministrazione Rumena aveva notificato alla società rumena un atto amministrativo tributario. Nel caso di specie, la controversia principale riguarda l’impatto della normativa nazionale sul trattamento fiscale di un trasferimento di risorse finanziarie tra una succursale stabilita in Romania e la sua società madre stabilita in un altro Stato membro. La corte ammette che il regime tributario oggetto di analisi “(…) comporti effetti restrittivi sulla libera circolazione dei capitali (…)”. Infatti, “(…) una siffatta disparità di trattamento fiscale delle succursali, a seconda del luogo della sede delle loro società madri, con le quali sono state concluse transazioni caratterizzate da condizioni non di mercato, può costituire una restrizione alla libertà di stabilimento ai sensi dell’articolo 49 TFUE”. Tuttavia, “(…) in virtù di una costante giurisprudenza della Corte, una misura fiscale idonea ad ostacolare la libertà di stabilimento (…) può essere ammessa soltanto se essa riguarda situazioni che non sono oggettivamente comparabili o se possa essere giustificata da motivi imperativi di interesse generale riconosciuti dal diritto dell’Unione”. “(…) la necessità di assicurare un’equilibrata ripartizione del potere impositivo tra gli Stati membri può essere idonea a giustificare una disparità di trattamento (…)”. “si deve rilevare che una normativa nazionale che si fondi su un esame di elementi oggettivi e verificabili per stabilire se una transazione consista in una costruzione di puro artificio a soli fini fiscali va considerata come non eccedente quanto necessario per raggiungere gli obiettivi relativi alla necessità di salvaguardare la ripartizione equilibrata del potere impositivo tra gli Stati membri e a quella di prevenire l’elusione fiscale quando, in primo luogo, in tutti i casi in cui esiste il sospetto che una transazione ecceda ciò che le società interessate avrebbero convenuto in un regime di piena concorrenza, il contribuente sia messo in grado, senza eccessivi oneri amministrativi, di produrre elementi relativi alle eventuali ragioni commerciali per le quali tale transazione sia stata conclusa”

Pertanto, è possibile erogare dei finanziamenti infruttiferi intercompany, sempre se sussistano della ragioni commerciali, come potrebbe essere una particolare situazione di default della consociata oppure il caso in cui la consociata sia una startup e non la si voglia aggravare di ulteriori costi.

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