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Secondo quanto disposto dall’art. 110, comma 7, del TUIR: “I componenti del reddito derivanti da operazioni con società non residenti nel territorio dello Stato, che direttamente o indirettamente controllano l'impresa, ne sono controllate o sono controllate dalla stessa società che controlla l'impresa, sono determinati con riferimento alle condizioni e ai prezzi che sarebbero stati pattuiti tra soggetti indipendenti operanti in condizioni di libera concorrenza e in circostanze comparabili, se ne deriva un aumento del reddito (…)”.

La finalità della norma è quella contrastare il fenomeno economico del transfer pricing, che - a seguito di operazioni tra società appartenenti al medesimo gruppo e soggette a normative nazionali differenti - da un lato determina l’erosione dell’imponibile fiscale, dall’altro crea una distorsione della libera concorrenza.

La corte di Cassazione in un primo tempo si era espressa ritenendo che la normativa del transfer pricing non potesse applicarsi ai finanziamenti infruttiferi (Cassazione n. 27087 del 19 dicembre 2014 n. 27087 e n. 15005 del 17 luglio 2015.

Dal 2016, invece, si susseguono diverse sentenze, in cui non si esclude applicazione di questa normativa. L’Ordinanza n. 27636 del 12 ottobre 2021, in particolare, ritiene non condivisibile l’impostazione che ritiene “(…) l’art. 110, settimo comma, TUIR norma da interpretare restrittivamente, introducendo una limitazione della libertà negoziale delle parti e, dunque, riferita alle sole operazione da cui “derivano” componenti di reddito, ossia a quelle a titolo oneroso”. Sull’argomento si è pronunciata la Cassazione con l’ordinanza 13850 del 20 maggio 2021 (poi richiamata dall’Ordinanza sopra citata), citando e ricostruendo gli interventi della giurisprudenza e della prassi nel corso degli anni.

Ordinanza 13850 del 20 maggio 2021

Il contenzioso tributario nasce dalla notifica di un avviso di accertamento per l’anno 2008 in cui l’agenzia “recuperava a tassazione IRES (…) interessi attivi (…) su finanziamenti erogati a favore della società <> (…)” di Hong Kong. Nel caso di specie la società italiana, che aveva impugnato l’avviso di accertamento, “aveva finanziato la società <veicolo> (…) al fine d acquisire, in via indiretta, una partecipazione (…)” in una società cinese. L’unico modo per acquisire la società di Hong Kong era per il tramite di una società veicolo di diritto cinese. La società italiana finanziava “(…) le proprie consociate (italiane ed estere) a un tasso d’interesse, pari all’Euribor a un anno, oltre a uno spread variabile (dall’1% al 2%); il prestito originariamente sottoscritto (…)” con la società veicolo di Hong Kong “(…) prevedeva, anch’esso, inizialmente, un tasso di interesse che, tuttavia <poco dopo>, con una lettera di variazione della concedente, è stato azzerato (…)”.

L’agenzia impugna la sentenza della Commissione tributaria Regionale, evidenziando che “(…) le giustificazioni addotte dalla contribuente circa l'azzeramento del tasso d'interesse originariamente pattuito con la consociata di Hong Kong (…)” non sono “(…) sufficienti a integrare la prova contraria spettante alla società, prova che, nella fattispecie in questione, deve consistere nella dimostrazione che la mancanza di un corrispettivo per i finanziamenti infragruppo corrisponde ai valori economici che il mercato attribuisce a tale tipo di operazione”.

La corte di cassazione cassa la sentenza e rinvia alla commissione Regionale. Vediamo il percorso logico seguito dai giudici nell’analisi della questione. La Corte di Cassazione specifica (ricordando la sentenza n. 7493/2016) che la normativa di cui all’articolo 110, comma 7, TUIR “(…) non integra una disciplina antielusiva in senso proprio, ma è finalizzata alla repressione del fenomeno economico del transfer pricing (…)”.

Tale articolo è strettamente connesso alla ratio del principio enunciato all’articolo 9 del modello OCSE: il principio di libera concorrenza. L'articolo 9, infatti, dispone che: “(Allorché) le due imprese (associate), nelle loro relazioni commerciali o finanziarie, sono vincolate da condizioni accettate o imposte, diverse da quelle che sarebbero state convenute tra imprese indipendenti, gli utili che, in mancanza di tali condizioni, sarebbero stati realizzati da una delle imprese, ma che, a causa di dette condizioni, non lo sono stati, possono essere inclusi negli utili di questa impresa e tassati in conseguenza”.

Pertanto, “(…) la valutazione <in base al valore normale> prescinde dalla capacità originaria dell’operazione di produrre reddito e, quindi, da qualsivoglia obbligo negoziale delle parti attinente al pagamento del corrispettivo”. Deve, pertanto essere esaminata la sostanza economica dell’operazione intervenuta e confrontarla con analoghe operazioni realizzate (…)”. Ne deriva che “(…) la qualificazione di infruttuosità del finanziamento, eventualmente operata tra le parti (sulle quali incombe il relativo onere probatorio, dato il carattere normalmente oneroso del contratto di mutuo), si rileva ininfluente, essendo di per sé inidonea ad escludere l’applicazione del criterio di valutazione in base la valore normale”. Sarebbe, altrimenti "«irragionevole (…) che l’Amministrazione possa esercitare il potere di rettifica in caso di corrispettivi (…) anche irrisori mentre ciò le sia precluso nell’ipotesi di contratti a titolo gratuito».

La rilevanza della sostanza economica viene ribadita anche nella sentenza n. 27018 del 15/11/2017, “(…) in una prospettiva di comparazione con analoghe operazioni effettuate tra imprese indipendenti e in libera concorrenza, con la conseguenza che sono soggetti alla medesima disciplina i finanziamenti infruttiferi internazionali tra imprese controllate e controllanti attesa l'esigenza, in funzione dell'unitaria ratio dell'istituto, di oggettivare il valore delle operazioni ai soli fini fiscali, senza che ne siano alterati gli equilibri civilistici tra i contraenti.” Infine il report dell’OCSE pubblicato l’11/02/2020, sulle transazioni finanziarie “ribadisce (…) che, nelle operazioni di finanziamento intercompany, la corretta applicazione del principio di libera concorrenza è rilevante non soltanto nella determinazione del valore di mercato dei tassi di interessi applicati, ma anche per valutare se un’operazioni di finanziamento debba essere effettivamente considerata un prestito o, in alternativa, un apporto di capitale proprio”.

L’Ordinanza 13850 del 20 maggio 2021 afferma, pertanto, che i finanziamenti infruttiferi intercompany non sono esclusi dalla disciplina del transfer pricing.

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