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Non appena è stata pubblicata l’Ordinanza n. 776 del 12 gennaio 2022 l’abbiamo condivisa con l’avvocato che ci stava seguendo. Ebbene sì, perché anche noi all’epoca avevamo in corso un contenzioso sulla medesima materia e ahimè l’ordinanza n. 2831 del 2022 si riferisce proprio al nostro caso.

La controversia trattata con l’ordinanza 776/2022 nasce da un accertamento emesso nei confronti di uno studio associato tra commercialisti che aveva presentato la dichiarazione dei redditi per l’anno d’imposta 2009, includendo tra i costi deducibili le spese riguardanti i rimborsi chilometrici relativi alle percorrenze sostenute dai professionisti associati per recarsi dai clienti. L’Agenzia delle Entrate procedeva alla ripresa parziale, ritenendo tali costi deducibili solo in parte, ossia “nella misura del 40 per cento (…)” così come previsto dall’art. 164, comma 1, lettera b, del T.U.I.R (vigente al tempo), ritenendo che tali costi si riferissero ad autovetture adibite ad uso promiscuo.

Il ricorso presentato dall’associazione veniva respinto in primo grado e lo studio procedeva con ricorso in appello, che veniva accolto dalla Commissione Tributaria Regionale, la quale riteneva corretta la deducibilità integrale dei costi, in applicazione dell’art. 164, comma 1 lettera a, del T.U.I.R., il quale prevede la deducibilità di tali costi “per l’intero ammontare relativamente: 1) (…) alle autovetture (…) destinati ad essere utilizzati esclusivamente come beni strumentali nell’attività propria dell’impresa”.

In risposta l’Agenzia è ricorsa per Cassazione, denunciando la violazione o falsa applicazione dell’art. 53 e dell’art. 164, comma 1, lett. b) del T.U.I.R., ma la Corte ha ritenuto infondato il ricorso rigettandolo.

Secondo la Corte infatti, ai sensi dell’art. 164 del D.P.R. n.917/86, “sono integralmente deducibili i costi concernenti i veicoli destinati esclusivamente all’attività propria dell’impresa: è peraltro onere del contribuente dimostrare tale presupposto, quale fatto costitutivo del diritto alla integrale deduzione”. Inoltre, la corte fa presente che la Commissione Tributaria Regionale, “ha puntualmente precisato che tali costi discendono dall’uso che delle auto i professionisti fanno esclusivamente per recarsi dai clienti, ossia per una attività tipicamente propria dell’impresa, cosicché può anche dirsi integralmente soddisfatto l’assolvimento dell’onere della prova”.

La controversia trattata con l’Ordinanza 2831 del 31 gennaio 2022 nasce da un accertamento emesso nei confronti di uno studio associato tra commercialisti e consulenti del lavoro che avevano presentato la dichiarazione per l’anno d’imposta 2008 rilevando - tra i costi – i rimborsi chilometrici che gli associati avevano presentato all’associazione. La documentazione allegata a sostegno dei rimborsi consisteva in tabelle riepilogative con l’indicazione del giorno, dei tempi, delle percorrenze e del cliente a cui si riferiva la trasferta (valorizzata in base alle tariffe ACI).

Nell’avviso di accertamento veniva ripreso a tassazione il costo complessivo, poiché – osservando il contenuto dell’articolo 164 del TUIR – “nel caso in cui l’attività è svolta da società semplici e da associazioni di cui all’art. 5 (…), la deducibilità sopra indicata è consentita soltanto per un veicolo per ogni socio o associato. (…) Quindi, il professionista associato mette a disposizione dello studio la propria auto personale e la concessione del veicolo in comodato d’uso all’associazione cui appartiene rappresenta la soluzione per godere della deducibilità di acquisizione e gestione dei beni mobili registrati. Pertanto, l’Ufficio ritiene di non riconoscere il sistema di calcolo della spesa tramite le tabelle ACI e del pari non riconosce la possibilità di deduzione dei rimborsi agli associati poiché manca un collegamento (rapporto di lavoro dipendente o collaborazione) con lo studio associato”. In altre parole, l’unico articolo che tratta di rimborsi chilometrici è l’art. 95 del TUIR (lavoro dipendente) e l’unica norma che tratta dei costi relativi agli autoveicoli è l’articolo 164 del TUIR. Non trovando applicazione questi articoli il costo si considera come non inerente. La Commissione Tributaria Provinciale tenta una “sorta” di mediazione accordando la deducibilità parziale ex art. 164 TUIR, la Commissione Tributaria Regionale ritiene corretta la deducibilità integrale dei costi.

In risposta l’Agenzia è ricorsa per Cassazione, denunciando la violazione o falsa applicazione dell’art. 53 e dell’art. 164, comma 1, lett. b) del T.U.I.R. La Corte ha ritenuto fondato il ricorso cassando la sentenza con rinvio alla CTR.

Secondo la Corte “(…) la CTR ha erroneamente applicato in materia di deduzione di costi per autovetture i principi relativi ai lavoratori dipendente, invece che, correttamente, quelli applicabili alla fattispecie (…) regolata dall’art. 164 TUIR (…). Le spese relative agli autoveicoli, ancorché non di proprietà, sono deducibili ai sensi dell’art. 164, c. 1, lett. b, del TUIR (…). Sono infatti integralmente deducibili solo i costi concernenti i veicoli destinati esclusivamente all’attività propria dell’impresa, presumendosi un uso promiscuo negli altri casi: “è peraltro onere del contribuente dimostrare tale presupposto, quale fatto costitutivo del diritto (…). Nella fattispecie la CTR ha pertanto, erroneamente, ritenuto che l’Ufficio non potesse contestare la deduzione integrale dei costi in relazione alla loro inerenza: doveva invece valutare se l’autoveicolo fosse o meno indispensabile ed esclusivamente utilizzato per lo svolgimento dell’attività d’impresa”. La sentenza viene cassata con rinvio alla CTR.

La deduzione dei costi relativi all’autovettura del professionista

L’articolo 164 del DPR 917/86 richiamato dall’Agenzia delle entrate nei contenzioni tributari, regola il trattamento fiscale di taluni mezzi di trasporto a motore utilizzati nell'esercizio di imprese, arti e professioni, limitando la deducibilità delle spese e degli altri componenti negativi. La norma specifica che nel caso in cui l’attività sia svolta da società semplici o da associazioni di cui all’art. 5 del TUIR la deducibilità nella misura del 40% è consentita soltanto per un veicolo per ogni socio o associato.

Come gestire, pertanto, l’utilizzo dell’autovettura all’interno delle associazioni professionali?

L’associazione potrebbe essere proprietaria del veicolo. Oppure, il professionista associato potrebbe mettere a disposizione dello studio la propria auto personale e concede il veicolo in comodato d’uso all’associazione. Quindi, in entrambi i casi l’associazione utilizzerebbe il bene e potrebbe dedurre i costi dello stesso sempre in ragione a quanto disposto dall’articolo 164.

Tuttavia, rispetto ai casi indicati, risulta alquanto frequente nella prassi che gli associati di uno studio professionale utilizzino la propria autovettura ricevendo dall'associazione il rimborso delle spese per il predetto utilizzo. Le somme in questione hanno mera funzione "restaurativa" dell'esborso sostenuto dal professionista.

La circolare dell’Agenzia delle Entrate n. 47/E del 18706/2008 ha osservato che il citato articolo costituisce una disciplina di carattere speciale dettata con riferimento a tutti i costi sostenuti in relazione a particolari cespiti, lasciando intendere che gli stessi cespiti devono essere riconducibili al soggetto passivo. Quindi, la norma trova applicazione per l’ammortamento del costo di acquisto, i canoni di leasing, le spese di locazione e di noleggio e le altre spese (carburante, assicurazione) per i veicoli di proprietà/possesso dell’associazione.

Rispetto quindi al caso oggetto del contendere l’articolo 164 non dovrebbe trovare applicazione.

La norma in questione, infatti, è norma speciale che ha una ratio precisa: l’intento del legislatore è quello di ridurre la deducibilità per quei beni il cui uso possa essere promiscuo. L'art. 164 del TUIR, infatti, ha la funzione di "forfetizzare" l'inerenza relativamente ai costi connessi all'acquisto ed alla gestione dei veicoli (in tal senso la Ris. Agenzia delle Entrate 27.7.2007 n. 190/E). Tale funzione verrebbe meno nel caso esaminato, posto che i rimborsi sono esclusivamente riferibili alle trasferte effettuate per conto dello studio.

Paradossalmente, nei contenziosi che ci hanno riguardato l’Ufficio decretava la non inerenza dei costi poiché la proprietà e il possesso delle autovetture rimaneva in capo ai professionisti.

Purtroppo le ordinanze analizzate non risolvono completamente la situazione. L’unica cosa certa è che il contribuente ha l’onere di provare l’utilizzo esclusivo dei veicoli per l’attività d’impresa. Nella prima ordinanza si dà per assodata questa “dimostrazione”, nella seconda invece, viene spostata l’attenzione “sull’errore della CTR” che ha ritenuto completamente deducibili i rimborsi, senza valutare se il veicolo fosse indispensabile.

Ma come può essere dimostrata l’inerenza del costo? Come possiamo dimostrare che per i tragitti effettuati l’autovettura era indispensabile ed esclusivamente utilizzata per una trasferta professionale?

La Cassazione, inoltre, non ha preso alcuna posizione su una questione importante: il fatto che i costi in oggetto siano soggetti, ai fini della loro deducibilità, al generale principio dell’inerenza di cui all’art.54 TUIR e, ovviamente, ai correlati principi di idonea documentazione ed effettività del relativo pagamento, ai quali sono soggetti in generale (salvo deroghe espresse) tutte le componenti passive del reddito di impresa e/o di lavoro autonomo.

La determinazione del reddito di lavoro autonomo

È utile ricordare che la determinazione del reddito di lavoro autonomo viene disciplinata dall’art. 54 del D.P.R. n. 917/1986, il quale in via di principio generale dispone che, nella determinazione del reddito di lavoro autonomo (ivi compreso quello svolto in forma associata ai sensi dell’art. 53 del T.U.I.R.), si possono portare in deduzione le “spese sostenute nel periodo stesso nell’esercizio dell’arte o della professione”, fermo restando le deroghe previste dallo stesso articolo.

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