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L’art. 1, comma 622 della Legge di Bilancio 2022 (L. 234/2021), modifica l’art. 110 del D.L. 104/2020 (“Rivalutazione generale dei beni d'impresa e delle partecipazioni 2020”), aggiungendo due nuovi commi.

In primis, nel nuovo comma 8-ter si dispone che “la deduzione ai fini delle imposte sui redditi e dell’imposta regionale sulle attività produttive del maggior valore imputato ai sensi dei commi 4, 8 e 8-bis alle attività immateriali le cui quote di ammortamento, ai sensi dell’articolo 103 del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al decreto del Presidente della Repubblica 22 dicembre 1986, n. 917, sono deducibili in misura non superiore ad un diciottesimo del costo o del valore, è effettuata, in ogni caso, in misura non superiore, per ciascun periodo d’imposta, a un cinquantesimo di detto importo”. Pertanto, il maggior valore attribuito ai marchi e all’avviamento – a fronte della rivalutazione o riallineamento disciplinati dall’articolo – determina un “aumento” del periodo di ammortamento fiscale che sale a 50 anni (quindi la deduzione sarà conclusa nel 2070).

Es. Supponiamo un marchio del valore storico di euro 3.600,00, ammortizzato per euro 2.400,00 (residuo euro 1.200,00). Il bene è stato rivalutato (costo storico) a euro 2.000,00 e quindi il maggior valore è pari a euro 800,00.

Gli ammortamenti dedotti gli anni successivi sono così determinati:

- euro 200,00 (ammortamento ordinario in 18 anni);

- euro 16,00 (ammortamento in 50 anni).   

Lo stesso comma ha poi previsto che “nel caso di cessione a titolo oneroso, di assegnazione ai soci o di destinazione a finalità estranee all’esercizio dell’impresa ovvero al consumo personale o familiare dell’imprenditore o nel caso di eliminazione dal complesso produttivo”, tale periodo viene traslato sulla relativa minusvalenza, la quale dunque sarà “deducibile, fino a concorrenza del valore residuo del maggior valore […], in quote costanti per il residuo periodo di ammortamento come determinato ai sensi dello stesso primo periodo”, nonché sul costo d’acquisto in capo all’avente causa. Di fatto dunque la norma, per evitare che i contribuenti possano “sfuggire” a tale maggior periodo, mediante la cessione, l’assegnazione ai soci, il consumo personale o ancora, l’eliminazione, impone l’applicazione dello stesso periodo di ammortamento sia in capo al cedente sulla minusvalenza realizzata, sia in capo all’acquirente sul costo sostenuto, per la parte di valore riferibile al residuo valore ammortizzabile della rivalutazione.

Si deve evidenziare un passaggio “critico” della norma, che meriterebbe un approfondimento e un chiarimento. Così com’è scritta risulta deducibile – se pur con la tempistica dei 50 anni – anche la minusvalenza non realizzata (es. assegnazione soci) che invece, ai sensi dell’articolo 110 del TUIR, non rientra tra le componenti negative di reddito.

C’è inoltre da ricordare che – a fronte della cessione a titolo oneroso del marchio – l’acquirente dovrà premunirsi per avere tutte le informazioni utili per poter applicare la norma. Sarà fondamentale quindi sapere se il marchio è stato rivalutato, a quanto ammonta il maggior valore attribuito e il valore della minusvalenza realizzata dal cedente.

ES. Con riferimento all'esempio precedente supponiamo che il marchio dopo cinque anni viene ceduto (quindi nel 2026). Il valore ad un valore di 600,00. Il valore residuo del marchio è pari a 920,00 (4.400,00 - 1.080 - 2.400).

Se il prezzo di vendita è pari a 720, il cedente ha realizzato un minusvalore pari a 200,00 (che deduce in cinquant’anni). Il cessionario deve prima calcolare il valore residuo della rivalutazione dato dalla differenza tra maggior valore (800) e minusvalore (200), ovvero su 600 che deduce in 47 anni (50-3). Ha pagato 720 il marchio e la differenza di 120 (720-600) la deduce in 18 anni.

Se, invece, il prezzo di vendita è pari a 60, il cedente ha realizzato un minusvalore pari a 860,00 (che deduce in cinquant’anni). In questo caso il valore del minusvalore (860,00) è superiore al maggior valore di rivalutazione (800,00). Quindi, il cedente deduce il minusvalore in 50 anni, mentre il cessionario ammortizza l'acquisto di 60 in 18 anni.  

Insomma un calcolo davvero complicato!

Com’è possibile “evitare” l’ampliamento del periodo di ammortamento?

Il legislatore al comma 8-quater ha previsto la possibilità per i contribuenti di continuare a dedurre le quote in 18 anni, previo “versamento di un’imposta sostitutiva […] nella misura corrispondente a quella stabilita dall’articolo 176, comma 2-ter, del citato testo unico delle imposte sui redditi, […], al netto dell’imposta sostitutiva determinata ai sensi del comma 4 del presente articolo”.

Il citato comma 2-ter dell’articolo 176 del TUIR, prevede un’imposta sostitutiva che si determina applicando le seguenti aliquote previste per scaglioni:

- 12% sulla parte dei maggiori valori assoggettati a tassazione entro i 5 milioni di euro;

- 14% sulla parte che eccede 5 milioni e fino a 10 milioni di euro;

- 16% sulla parte superiore a 10 milioni di euro.

Dunque nel caso in cui si procedesse con tale scelta si dovrà versare rispettivamente il 9%, l’11% o il 13%. Tale versamento deve essere effettuato “in un massimo di due rate di pari importo di cui la prima scadenza entro il termine per il versamento a saldo delle imposte sui redditi relativo al periodo d’imposta successivo a quello con riferimento al quale la rivalutazione è eseguita e la seconda con scadenza entro il termine previsto per il versamento a saldo delle imposte sui redditi relative al periodo d’imposta successivo”. Quindi entro il 30/06/2022 la prima rata e 30/06/2023 per la seconda rata (e gli interessi?).  

Vi è infine, un ultima possibilità, per evitare l’ampliamento del periodo di ammortamento. Infatti, l’art. 1, comma 624, L. 234/2021, prevede la facoltà - per i soggetti che hanno effettuato le rivalutazioni o il riallineamento e hanno versato l’imposta sostitutiva del 3% - “(…) di revocare, anche parzialmente, l’applicazione della disciplina fiscale del citato articolo 110” e tale revoca “costituisce titolo per il rimborso ovvero per l’utilizzo in compensazione”. Viene demandato comunque ad un provvedimento dell’Agenzia delle Entrate la definizione dei termini e delle modalità. 

Cosa succede se il versamento del 3% non è stato effettuato, ma comunque gli effetti ci sono per aver compilato il quadro RQ? Posso revocare? Basterà probabilmente fare una integrativa eliminando il quadro RQ.   

 

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