La ripartizione delle riserve di capitale quando superano il costo fiscale della partecipazione. Modalità di tassazione: il valore complessivo rileva nella determinazione del reddito imponibile.
- Scritto da Dott.ssa Anna Sgambaro

Il caso
Il contribuente nel 2005 aveva percepito da una società delle somme. A seguito di verifica della Guardia di Finanza l’Agenzia delle Entrate aveva notificato un avviso di accertamento nel quale rettificava in aumento l’importo di reddito imponibile del contribuente per la somma percepita.
Il contribuente ricorrendo in primo grado aveva asserito che “(…) gli importi (…)” derivavano “(…) da distribuzione di riserve di capitale, dunque non imponibili ai sensi del comma 5 dell’art. 47 cit.; in ogni caso, qualora invece riconducibili ad utili, gli stessi andavano sottoposti a tassazione dei limiti del 40%, ai sensi del comma 1 dell’art. 47 cit”. La Commissione tributaria provinciale di Rovigo, con sentenza n. 78/01/2012, e la Commissione tributaria regionale del Veneto, con sentenza n. 62/22/2013, depositata il 4 luglio 2013, avevano rigettato il ricorso del contribuente.
Le censure mosse dal contribuente, in Cassazione, in relazione all’art. 360, primo comma, n. 3 del c.p.c., riguardano:
1) la violazione dell’art. 47, comma 5, D.P.R. n. 917 del 1986 “(…) per aver erroneamente ritenuto legittima la ripresa a tassazione di somme ricevute a titolo di ripartizione di riserve o di altri fondi costituiti con versamenti fatti dai soci a fondo perduto o in conto capitale”;
2) la violazione dell’art. 47, comma 1, D.P.R. n. 917 del 1986, nonché l’art. 53 Costituzione “(…) per aver erroneamente riconosciuto legittima la ripresa a tassazione delle predette somme nella misura del loro intero ammontare e non del 40%”.
La decisione della Cassazione
Entrambi i motivi vengono respinti.
Ricordiamo che l’art. 47, comma 5, D.P.R. n. 917 del 1986 stabilisce: “non costituiscono utili le somme e i beni ricevuti dai soci delle società soggette all’imposta sul reddito delle società a titolo di ripartizione di riserve o altri fondi costituiti con versamenti fatti dai soci a fondo perduto o in conto capitale tuttavia le somme o il valore normale dei beni ricevuti riducono il costo fiscalmente riconosciuto delle azioni o quote possedute”.
In relazione alla prima censura la Corte sottolinea che “(…) l’esclusione dall’imponibile ha l’intento di estromettere dalla tassazione le restituzioni dei conferimenti eseguiti dai medesimi soci (…)”. Tuttavia, “(…) la ripartizione di tali riserve o fondi, esclusane la natura di utile, incide comunque sul costo fiscalmente riconosciuto delle azioni o delle quote”. Pertanto, se la somma restituita/ripartita è superiore al costo fiscale della partecipazione, l’operazione “(…) viene ricondotta nell’alveo degli utili con la sua conseguente tassazione (…)”.
Supponiamo il caso di società in cui il socio Tizio detiene il 70% del capitale sociale, ottenuto versano 70. Il socio Caio, invece, che è entrato in società successivamente, ha acquistato il 30% del capitale sociale versando 30 di capitale e 170 di sovrapprezzo. Se viene distribuito il sovrapprezzo di 170, il socio Tizio percepisce 119 e il socio Caio 51. Tizio vedrà il prezzo della propria azione azzerarsi (70-119) e la differenza negativa, pari a 49 ha natura reddituale. In questo modo si perfeziona “(…) un’operazione di “arricchimento”, che non poteva certo essere esentata da tassazione”. Il valore della partecipazione per Caio, invece, era 200. Pertanto, per effetto della ripartizione del sovrapprezzo per 51, il costo della partecipazione si ridurrà a 151.
In relazione alla seconda censura la Corte, ricordando il testo di legge in vigore all’epoca dei fatti, stabilisce che la norma “(…) prevedeva il concorso degli utili alla formazione del reddito imponibile complessivo del percipiente, ma con una parziale esclusione, calcolata in una percentuale (…): L’esclusione parziale aveva la finalità di mitigare gli effetti della doppia imposizione economica, per essere stati, quegli utili distribuiti, già tassati in capo alla società”. Nel caso di specie, invece, “(…) le somme percette (…) non rispondevano agli utili già sottoposti ad Ires, per cui la fattispecie esulava fiscalmente dal rischio della doppia imposizione. Né il ricorrente ha mai affermato che quegli importi fossero stati già sottoposti all’imposta gravante sulla società”. Pertanto, l’articolo 47 del TUIR non può trovare applicazione
Alcune problematiche
L’articolo 27, comma 1-bis del DPR 600/73 per le persone fisiche non imprenditori prevede che la “(…) ritenuta prevista dai commi 1 e 4 (…) si applica sull'intero ammontare delle somme o dei valori corrisposti, qualora il percettore non comunichi il valore fiscalmente riconosciuto della partecipazione” (articolo 27, comma 1-bis del DPR 600/73). La sentenza, invece, punta alla sostanza dell’operazione, prevedendo la tassazione dell’importo per l’intero. Come dobbiamo comportarci?