La certezza del costo: per il compenso degli amministratori passa attraverso la delibera assembleare.
- Scritto da Dott.ssa Anna Sgambaro

La Cassazione con Ordinanza 7329 del 16 marzo 2021 si pronuncia sulla deducibilità dei compensi degli amministratori, confermando quanto già posto in evidenza in precedenti pronunce.
Viene precisato, infatti che “(…) la necessità della preventiva delibera assembleare è funzionale alla certezza del costo (Cass. Sez. 5, 7/3/2014, n. 5349; Cass. Sez. 5, 28/10/2015, n. 21953). Pertanto, i compensi corrisposti agli amministratori non sono deducibili se non previamente deliberati (Cass. Sez. 5, n. 5349 del 2014, cit.), atteso che la specifica delibera assembleare costituisce la fonte dell'obbligazione patrimoniale (Cass. Sez. 5, n. 21953 del 2015, cit.)”. Questo implica che, in mancanza della delibera la natura del costo potrebbe essere messa in dubbio.
Sul punto la Cassazione si era espressa anche con una precedente ordinanza, la n. 5763 del 3 marzo 2021, nella quale affronta la questione “coordinando” i principi civilistici e la norma fiscale. In questa Ordinanza viene tracciato, innanzitutto, l’iter civilistico (cfr. Sentenza delle sezioni unite del 2008) che prevede per “(…) la determinazione della misura del compenso degli amministratori di società di capitali, ai sensi dell'art. 2389, primo comma, cod. civ. (…)”, la necessità “(…) «qualora non sia stabilita nello statuto (…)” di “(…) una esplicita delibera assembleare, che non può considerarsi implicita in quella di approvazione del bilancio (…)”. La norma ha “(…) natura imperativa e inderogabile (…)” poiché “(…) dettata, anche, nell'interesse pubblico al regolare svolgimento dell'attività economica, oltre che dalla previsione come delitto della percezione di compensi non previamente deliberati dall'assemblea” .
Detto questo, ai fini fiscali si considera l’art. 109 del TUIR, ai sensi del quale “(…) le spese e gli altri componenti (…) negativi (…) concorrono a formare il reddito nell'esercizio di competenza (…)”. In particolare, qualora “(…) le spese e gli altri componenti di cui nell'esercizio di competenza non sia ancora certa l'esistenza o determinabile in modo obiettivo l'ammontare concorrono a formarlo nell'esercizio in cui si verificano tali condizioni”. I Giudici di merito sottolineano come “(…) sotto il profilo civilistico, il compenso pagato senza una delibera preventiva (…) sotto il profilo tributario (…)” determina “(…) l’indeducibilità del costo per difetto dei requisiti di certezza e determinabilità di cui all'art. 109 t.u.i.r: la mancanza di una delibera specifica sui compensi comporta, sul piano civilistico, la nullità dell'atto di autodeterminazione del compenso da parte degli amministratori, sul piano fiscale, la non deducibilità del compenso”. Il verbale con il quale viene definito il compenso dell’amministratore rappresenterebbe, pertanto, l’elemento di “certezza”.
A questo punto ci si chiede se un eventuale successivo verbale, volto a rettificare i compensi già corrisposti, possa garantire la deducibilità del compenso.
La Cassazione analizza l’art. 95 del TUIR che tratta in modo specifico i compensi degli amministratori stabilendo che “(…) i compensi spettanti agli amministratori delle società ed enti di cui all'art. 73, comma 1, sono deducibili nell'esercizio in cui sono corrisposti”. Il principio di cassa è il criterio in base al quale l’articolo prevede la deducibilità del compenso ed è rivolto a garantire “la simmetria temporale tra deduzione in capo all'erogante e la tassazione del percettore”. Questo però, non deve creare confusione, poiché deve sempre essere garantito il rispetto dei “(…) principi civilistici (…) secondo cui (…) ai fini della corretta deducibilità fiscale del costo è necessario che la determinazione del compenso sia legata ad una delibera assembleare con data antecedente all'erogazione del compenso che ne determini l'ammontare”. Le regole dell’articolo 109 del TUIR (certezza e oggettiva determinabilità), pertanto, sono applicate anche al principio di cassa (art. 95 TUIR). Questa ovviamente è una forzatura.
Rimane comunque il dubbio sulla possibilità di dare certezza al compenso nell’anno (postumo rispetto all’erogazione) in cui avviene l’assemblea di rettifica dello stesso.
La Cassazione, poi, in merito alla difesa promossa dalla parte, dichiara che a nulla vale appellarsi alla buona fede degli amministratori e della società, poiché in ogni caso deve essere seguita “(…) la sequenza procedimentale (…) senza alcuna necessità di valutazione di comportamenti soggettivi e/o a situazioni di fatto che idonei (…)” a determinare il compenso non deliberato. Inoltre, “(…) privo di rilevanza è il timore del rischio di una doppia imposizione (…)” considerato che l’unico effetto è quello di “(…) non (…) dedurre integralmente la spesa”. Questo però “(…) non significa che lo stesso fatto è tassato due volte (…)”.
Alcuni appunti sui quali riflettere
Gli anni oggetto di verifica sottoposti alla Cassazione sono antecedenti all’introduzione del principio di derivazione rafforzata. Ricordiamo infatti che la derivazione rafforzata è la novità fiscale che ha seguito il D. Lgs. 139/2015. In particolare l’art. 83 del TUIR (Determinazione del reddito complessivo) prevede che per i soggetti diversi dalle microimprese valgono i criteri di classificazione, quantificazione ed imputazione temporale indicati nei principi contabili. Questo ovviamente anche in deroga alla norma fiscale. Le rappresentazioni di bilancio, ispirando al principio di prevalenza della sostanza sulla forma, fa prevalere la natura economica/sostanziale sulla natura legale/giuridica. L’effetto dovrebbe essere quello di ridurre le discordanze tra il reddito d’impresa e l’utile di bilancio.
La conseguenza logica è la disapplicazione dell’articolo 109 del TUIR: infatti la certezza richiesta dall’articolo sarebbe riscontrata direttamente dall’applicazione dei principi contabili. Si rileva, tuttavia che l’art. 2, comma 2, del DM 48/2009 prevede esplicitamente che anche ai soggetti IAS (soggetti per i quali già operava la derivazione rafforzata) si applicano le norme che “(…) stabiliscono la rilevanza di componenti positivi o negativi nell'esercizio, rispettivamente, della loro percezione o del loro pagamento (…)”. Quindi è come se dicessimo che per i compensi degli amministratori, operando il principio di cassa, non opera la derivazione rafforzata. Potremmo pertanto non considerare le recenti pronunce e la forzatura che permette di applicare l’articolo 109 TUIR anche quando vale il principio di cassa?
In realtà c’è un altro problema. Al di là degli anni considerati dalla Cassazione, rimane sempre la qualificazione del verbale dell’assemblea quale “fonte delle obbligazioni patrimoniali”. Solo questo dovrebbe farci riflettere e porre molta attenzione alla presenza dello stesse, onde evitare il disconoscimento del costo.