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La Corte di Cassazione con sentenza 24093 del 30 ottobre 2020, ribadisce quanto già sentenziato nel 2017, affermando che non vi è alcuna differenza in diritto tra i crediti d’imposta inesistenti e non spettanti e rinviando la questione di merito ai giudici competenti. Questa affermazione, non del tutto condivisibile, determinerebbe una più gravosa applicazione in relazione ai termini di notifica degli avvisi di accertamento e in termini sanzionatori.

Il caso

L’Agenzia delle Entrate aveva notificava ad un contribuente, per gli anni d’imposta dal 2001 al 2004, un atto di recupero di credito d’imposta in quanto mancavano i requisiti per poter compensare i crediti d’imposta “non essendo in regola con il rispetto delle norme previste a tutela della sicurezza dei lavoratori, ed avendo assunto due lavoratori quando non risultavano disoccupati da almeno ventiquattro mesi”. In primo e secondo grado il contribuente vedeva annullato l’atto di recupero. In particolare la CTR di Bari respingeva l’appello dell’Ufficio in quanto “riteneva che l'Ente impositore fosse decaduto dalla possibilità di notificare utilmente l'avviso di accertamento, risultando applicabile il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, comma 1 e non avendo l'Amministrazione finanziaria fornito alcuna prova che i termini potessero essere raddoppiati ai sensi della L. n. 74 del 2000, in relazione all'avvio di un procedimento penale”. Avverso la decisione assunta dalla Commissione Tributaria Regionale di Bari ha proposto ricorso per cassazione l'Agenzia delle Entrate, sostenendo che la CTR ha violato l’art. 27 del D.L. 185/2008 in combinato disposto con l’art. 43, comma 1 del DPR 600/73.

La decisione della Cassazione

La Cassazione affrontando l’unico motivo di ricorso, analizza il termine entro il quale l’Ufficio avrebbe dovuto notificare l’avviso di accertamento, ricordando che:

- il D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, comma 1, ritenuto applicabile dalla impugnata CTR, prevedeva che "gli avvisi di accertamento devono essere notificati, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre del quarto anno successivo a quello in cui è stata presentata la dichiarazione";

- il D.L. n. 185 del 1998, art. 27 (…) che al comma 16 prevede: "Salvi i più ampi termini previsti dalla legge in caso di violazione che comporta l'obbligo di denuncia ai sensi dell'art. 331 c.p.p. per il reato previsto dal D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, art. 10-quater, l'atto di cui alla L. 30 dicembre 2004, n. 311, art. 1, comma 421, emesso a seguito del controllo degli importi a credito indicati nei modelli di pagamento unificato per la riscossione di crediti inesistenti utilizzati in compensazione ai sensi del D.Lgs. 9 luglio 1997, n. 241, art. 17, deve essere notificato, a pena di decadenza, entro il 31 dicembre dell'ottavo anno successivo a quello del relativo utilizzo".

Ebbene, la Corte ritiene che – in applicazione della normativa – il termine di tempo entro il quale l’accertamento poteva essere notificato scadeva rispettivamente nel 2011 (per il periodo d’imposta 2003) e nel 2012 (per il periodo d’imposta 2004). Quindi la notifica avvenuta il 22/11/2010 era rispettosa dei termini.

A nulla valgono le considerazioni esposte dal contribuente che si sofferma sulla differenza tra crediti inesistenti e “crediti utilizzati in compensazione (…) meramente illegittimi “ .

Infatti, la Corte – ricordato che tale valutazione attiene il merito del giudizio e deve essere demandata al competente giudice di rinvio – afferma che “(…) il D.L. n. 185 del 2008, art. 27, comma 16 (…) nel fissare il termine di otto anni per il recupero dei crediti d'imposta inesistenti indebitamente compensati, non intende elevare l'"inesistenza" del credito a categoria distinta dalla "non spettanza" dello stesso (distinzione a ben vedere priva di fondamento logico - giuridico), ma mira a garantire un margine di tempo adeguato per il compimento delle verifiche riguardanti l'investimento che ha generato il credito d'imposta, margine di tempo perciò indistintamente fissato in otto anni, senza che possa trovare applicazione il termine più breve stabilito dal D.P.R. n. 600 del 1973, art. 43, per il comune avviso di accertamento".

Con questa sentenza la Corte non fa altro che ribadire quanto già previsto con la sentenza 19237 del 2017. 

La decisione della Cassazione si presta a numerose critiche, soprattutto dove non ammette l'esistenza di una distinzione tra crediti. Di seguito alcuni spunti per analizzare e individuare i casi specifici.      

Alcuni spunti critici

L’art. 13 (Rubricato: ritardati od omessi versamenti diretti e altre violazioni in materia di compensazione) al comma 4 e 5, del DLgs 471/97 (modificato dal Dlgs 15/2015), prevede esplicitamente la distinzione tra:

- “(…) utilizzo di un'eccedenza o di un credito d'imposta esistenti in misura superiore a quella spettante o in violazione delle modalità di utilizzo previste dalle leggi vigenti (…)” per il quale si si applica “(…) la sanzione pari al trenta per cento del credito utilizzato”.

- “(…) di utilizzo in compensazione di crediti inesistenti (…)” per il quale è applicata la sanzione dal cento al duecento per cento della misura dei crediti stessi.

Inoltre, nel Massimario della Corte di Cassazione, n. III/05/2015 del 28 ottobre 2015 (ufficio Penale) al capitolo 9 si legge: “E’ pronosticabile una non sempre agevole distinzione fra crediti “non spettanti” e crediti “inesistenti”: salvo errori, in questa seconda categoria dovrebbero potersi includere, oltre ai crediti che risultano inesistenti sin dall’origine (perché il credito utilizzato non esiste materialmente o perché, pur esistente, è già stato utilizzato una volta), anche quei crediti che non sono esistenti dal punto di vista soggettivo (cioè dei quali è riconosciuta la spettanza ad un soggetto diverso da quello che li utilizza in indebita compensazione) ovvero quelli sottoposti a condizione sospensiva; nella prima dovrebbero invece ricomprendersi, ad esempio, quei crediti utilizzati oltre il limite normativo, ovvero utilizzati in compensazione in violazione del divieto di compensazione per ruoli non pagati”.

 

 

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