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Con la Risposta n. 387/2020 all’interpello formulato da un professionista, l’Agenzia delle entrate ribadisce e – chiarisce – le modalità di fatturazione ed eventualmente di correzione delle fatture, nel caso in cui la sentenza riformatrice disattenda le risultanze delle sentenze di primo grado in materia di addebito delle spese processuali. Nello specifico il professionista dovrà restituire le somme comprensive di IVA ma non potrà emettere la nota di accredito.

Il caso

A seguito di sentenza di primo grado del Tribunale (provvisoriamente esecutiva), il soccombente veniva condannato alla refusione delle spese professionali in favore dell’avvocato (di seguito denominato istante). L’istante, pertanto, provvedeva a liquidare i compensi professionali, comprensivi di IVA e ritenuta d'acconto emettendo la relativa fattura. Le sentenze, confermate in appello, venivano, invece, riformate dalla Corte di Cassazione, con ordinanze con cui la Corte, rigettando la domanda originaria, compensava le spese dell'intero processo. Di conseguenza l’istante ha l'obbligo di restituzione di quanto versato e il soccombente di primo grado chiede la restituzione oltre all'imponibile, anche la ritenuta d'acconto e l'IVA che l'interpellante ha versato all'Erario. L’istante nel frattempo ha optato per il regime forfettario.

Il parere dell’Agenzia delle Entrate

L’iva

L’Agenzia delle Entrate – per quanto riguarda l’IVA - ricorda che la Corte di Cassazione (sentenza del 12 giugno 1982, n. 3544), ha precisato “(…) l'avvocato distrattario è tenuto ad emettere il documento fiscale con addebito del tributo in via di rivalsa verso il proprio cliente, e che l'obbligazione per rivalsa nei rapporti tra cliente ed avvocato viene soddisfatta con l'emissione della fattura quietanza a saldo in cui si evidenzia che non soltanto rispetto all'onorario ma anche rispetto al tributo che vi accede, la 'solutio' avviene con denaro fornito dal soccombente, vincolato alla prestazione della condanna”. Pertanto, il soccombente che abbia effettuato il pagamento non può pretendere l'emissione della relativa fattura nei propri confronti.

Inoltre, "nell'ipotesi di distrazione delle spese a favore del difensore della parte vincitrice ex art. 93 del codice di procedura civile, il diritto che, in base alla pronuncia giudiziaria, viene a costituirsi a favore del difensore comporta che egli possa pretendere in linea di principio, nei confronti diretti del soccombente, anche quanto dovutogli a titolo di Iva". Il soggetto passivo della rivalsa resta, comunque, ai sensi dell'articolo 18 del d.P.R. 26 ottobre 1972, n. 633 "il cliente, nei confronti del quale va emessa, da parte del professionista, la relativa fattura (…)”.

Tutto ciò considerato, si deve analizzare il contenuto dell’articolo 26, comma 2, del DPR. n. 633 del 1972: se “(…) dopo l'emissione e la registrazione di fattura, l'ammontare imponibile di un'operazione e la relativa l'IVA si riducono, in tutto o in parte, il cedente o prestatore, in linea generale, può effettuare le opportune rettifiche emettendo un'apposita nota di credito". In tal modo, il cedente o prestatore restituisce l'importo dell'IVA al cessionario, recuperandola dall'Erario e il cessionario o committente soggetto IVA, a sua volta, ha l'obbligo di computare il medesimo importo tra l'IVA a debito riversando così all'Erario tale ammontare.

La nota di variazione può essere emessa solo se è assicurata l'identità tra l'oggetto della fattura e della registrazione originarie, da un lato, e, dall'altro, l'oggetto della registrazione della variazione, in modo che esista corrispondenza tra i due atti contabili (v. sentenze Corte di Cassazione 6 luglio 2001, n. 9188, e 2 giugno 1999, n. 5356). Nel caso di specie, “(…) si ritiene che la restituzione dell'importo equivalente all'onorario da parte del difensore distrattario nei confronti della controparte processuale, in seguito alla riforma della sentenza che prevedeva la condanna alle spese di lite, non assume rilevanza ai fini IVA”. Infatti, l'operazione originaria tra committente e prestatore non è venuta meno. Inoltre, “(…) non rileva (…) il fatto che in seguito alla sentenza della Corte di Cassazione (…) il soggetto obbligato al pagamento sia il cliente dell'avvocato e non X, né il fatto che in seguito alla sentenza vi sia una diversa ripartizione delle spese di giudizio e del relativo carico fiscale”. Infatti, l’articolo 26 presuppone "una variazione del rapporto giuridico tra i due soggetti originari dell'operazione imponibile: cedente e cessionario di un bene, committente e prestatore di un servizio" (sentenza della Corte di Cassazione 21 giugno 2001, n. 8455). Tale ipotesi non ricorre nel caso di specie, nel quale “(…) la provvista per il pagamento delle spese comprensiva di IVA è stata fornita dal soccombente X e non dal soggetto committente, vale a dire il cliente, parte vittoriosa dei precedenti gradi di giudizio”

Pertanto:

- l’avvocato non può emettere nota di accredito nei confronti della controparte;

- la controparte vanta un diritto alla restituzione delle somme indebitamente versate, compresa la quota destinata al pagamento dell'IVA già riscossa dall'Erario. La controparte potrà, pertanto, agire in sede giudiziale nei confronti dell’avvocato;

- l'avvocato può pretendere il pagamento del suo onorario direttamente dal cliente.

Le ritenute

In merito alla restituzione della ritenuta d’acconto indebitamente percepita dall’Erario, l’Agenzia evidenzia l’esistenza di un doppio binario, a seconda che il sostituito (l’avvocato nel caso di specie) d’imposta restituisca somme assoggettate a ritenuta o meno. Il doppio binario è “nato” a seguito di una modifica apportata dall'articolo 150, comma 1, decreto legge 19 maggio 2020, n. 34. Tuttavia, “la nuova disposizione non trova (…) applicazione laddove la restituzione dell'indebito, alla data del 19 maggio 2020, sia già avvenuta al lordo o per effetto di pronunce giurisdizionali sia stabilita la restituzione al lordo”.

Restituzione di somme indebite prima del 19 maggio 2020. Somme assoggettate a ritenuta, restituite al lordo

Ai sensi dell'articolo 10, comma 1, lettera d-bis), del TUIR “(…) sono deducibili dal reddito complessivo, se non deducibili nella determinazione dei singoli redditi, «le somme restituite al soggetto erogatore, se assoggettate a tassazione in anni precedenti»”. In alternativa “(…) il contribuente può chiedere il rimborso dell'imposta corrispondente all'importo non dedotto secondo modalità definite con decreto del Ministro dell'economia e delle finanze” .

Restituzione di somme indebite dopo il 19 maggio 2020. Distinzione tra somme assoggettate a ritenuta o non assoggettate

Ai sensi dell'articolo 10, comma 2, della lettera 2-bis del TUIR (modifica apportata dall'articolo 150, comma 1, decreto legge 19 maggio 2020, n. 34) “le somme di cui alla lettera d-bis) del comma 1, se assoggettate a ritenuta, sono restituite al netto della ritenuta subita e non costituiscono oneri deducibili” e sono credito d’imposta in capo al sostituto (somme assoggettate a ritenuta). A seguito dell’introduzione di tale norma, l’art. 10, comma 1, lettera d-bis) del TUIR verrà applicato soltanto del caso di somme non soggette a ritenute.

In merito al caso concreto l’agenzia afferma che se “(…), successivamente alla percezione delle somme (…)” si opta per il regime forfettario “(…), in assenza di altri redditi, ascrivibili ad altre categorie di reddito di cui all'articolo 6 del TUIR, non è possibile applicare la deduzione di cui all'articolo 10, comma 1, lett. d-bis), del TUIR nell'ipotesi in cui le somme erogate dal sostituto di imposta vengano restituite al sostituto al lordo delle ritenute operate”.

Tuttavia, considerato che:

- l’istante ha restituito alla controparte l’importo degli onorari liquidati al lordo delle ritenute;

- l’istante possiede altri redditi;

- la controparte, invece, ha deciso di compensare le ritenute versate con le spese di giustizia,

l'Agenzia ritiene che l’istante potrà recuperate le somme restituite applicando la disciplina prevista dall’art. 10 comma 1 lett. d-bis) del TUIR (o presentare l’istanza di rimborso nel termine biennale previsto dall’art. 21 comma 2 del DLgs. 546/92).

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