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La Corte di Cassazione con sentenza 18393 del 7 settembre 2020 conferma la possibilità di riportare a nuovo l’eccedenza di detrazione IVA, risultante dalla dichiarazione omessa. Tale principio non viene, invece, ribadito, nel caso di eccedenza IRES. La decisione, soprattutto per le motivazioni addotte, crea diverse perplessità.

Il caso

Un consorzio riceve un controllo automatizzato ex artt. 36-bis DPR 600/73 e 54-bis DPR 633/72, con liquidazione delle imposte dovute su modello Unico 2007 (anno d’imposta 2006). In seguito l’Agente della riscossione notifica una cartella di pagamento iscrivendo a ruolo IRES e IVA. Il Consorzio aveva omesso di presentare la dichiarazione modello UNICO 2006 per l’anno d’imposta 2005 e aveva riportato nel modello UNICO 2007 per l’anno d’imposta 2006 un eccedenza detraibile di IVA e un eccedenza IRES. Nel controllo automatizzato – con il disconoscimento di tali eccedenze – si procede al recupero dell’imposte dovute per l’anno 2006. La cartella di pagamento e il ruolo sono stati impugnati davanti alla Commissione tributaria provinciale di Milano, che ha accolto il ricorso del contribuente. L’Ufficio si appella e la Commissione tributaria regionale della Lombardia rigetta l’appello. Avverso tale sentenza della CTR – depositata il 21 gennaio 2013 – ricorre per cassazione l’Agenzia delle entrate.

La decisione dei Giudici

L’agenzia nel ricorso aveva contestato la possibilità di riportare nella dichiarazione per l’anno successivo (nella specie, per il 2006) il credito per eccedenza detraibile di IVA e IRES. La Corte di Cassazione ricorda il principio enunciato da una precedente sentenza, la n. 17757 del 08/09/2016: “[I]a neutralità dell’imposizione armonizzata sul valore aggiunto comporta che, pur in mancanza di dichiarazione annuale per il periodo di maturazione, l’eccedenza d’imposta, che risulti da dichiarazioni periodiche e regolari versamenti per un anno e sia dedotta entro il termine previsto per la presentazione della dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il diritto è sorto, va riconosciuta dal giudice tributario (…)”

Se per l’IVA tale principio è assodato, lo stesso non può dirsi per l’IRES. La Corte di Cassazione, infatti, ritiene che “(…) quanto al credito per eccedenza di IRES (…) nel caso in cui la dichiarazione sia stata omessa (…) il contribuente non può riportare nella dichiarazione per l’anno successivo il credito asseritamente maturato nell’anno per il quale la dichiarazione è stata omessa, ma può soltanto chiederne il rimborso, ricorrendone i presupposti (Cass., 30/10/2018, n. 27621, 22/07/2015, n. 15413)”

Due sono i motivi per i quali non può essere riconosciuta l’eccedenza IRES:

1) si tratta di un’imposta non armonizzata e, pertanto, non c’è l’esigenza “(…) di assicurare (…) la neutralità dell’imposizione (…)” (principio comunitario). Questa era la “ratio fondamentale” che ha portato i giudici ad accettare - in caso di omessa dichiarazione - il riporto a nuovo dell’eccedenza IVA;

2) a differenza del credito per eccedenza IVA, “l’accertamento dell’esistenza contabile e, ancor più, dell’effettività sostanziale del credito per eccedenza di IRES (o di IRPEF) asseritamente maturato nel periodo d’imposta per il quale la dichiarazione è stata omessa richiederebbe un’indagine estesa a tutta la pluralità di elementi eterogenei che, fondendosi tra loro, possono (o no) causare una tale eccedenza”. Il credito, pertanto, non è agevolmente dimostrabile.

“La latitudine di tale indagine – soprattutto, di quella relativa agli elementi dai quali dipende la determinazione dell’imposta dovuta – in quanto potenzialmente estesa alla ricostruzione dell’intero rapporto tributario d’imposizione diretta, orienta anch’essa nel senso di una soluzione, quale quella della necessità della domanda di rimborso del contribuente, che richieda il previo svolgimento della funzione amministrativa procedimentalizzata (del cui esercizio la stessa domanda costituisce l’atto di impulso)”

Secondo i Giudici solo lo “strumento del rimborso” garantisce una sorta di verifica del credito.

Si deve osservare, tuttavia, che il credito IRES può derivare da:

- maggiori acconti versati;

- ritenute subite che eccedono l’imposta netta.

Il credito ovviamente è determinato come differenza tra l’imposta netta e le eccedenze sopra indicate (acconti e/o ritenute). Tuttavia, la verifica dell’imposta netta e ancor prima della base imponibile (costi e ricavi) – che rappresentano l’elemento di complessità a cui si riferisce la Cassazione – non può certamente risolversi con la richiesta di rimborso. L’agenzia per effettuare una siffatta verifica dovrebbe promuovere un accertamento.

La questione in materia Iva non è molto diversa. Infatti, l’eventuale credito IVA deriva in ogni caso dalla rilevazione di costi e ricavi (soggetti ad IVA).

Infine, la Corte di Cassazione lascia lo spazio al contribuente per ottenere in ogni caso il credito IRES: prima si paga la cartella e poi chiedere il rimborso (poiché il credito non va perso). Questa procedura “meccanica” non fa che “ingarbugliare” i rapporti con il Fisco, considerato che probabilmente il rimborso (promosso con istanza) non arriverà mai (e spinge il contribuente a predisporre un nuovo ricorso).

Questo era il motivo per cui in precedenti sentenze i Giudici si erano dimostrati favorevoli al riporto a nuovo, ovviamente – vista l’omessa presentazione della dichiarazione – con la presentazione della documentazione (le fatture).

Ulteriori sentenze

La Corte di Cassazione dichiara di “discostarsi” da alcune sentenze, che si pronunciano in favore del riporto a nuovo dell’eccedenza IRES e IRAP. Infatti, la “(…) recente Cass., 09/10/2019, n. 25288, che, richiamando il principio enunciato da Cass., Sez. U., 30/06/2016, n. 13378, come massimato (…) ha reputato di estendere al credito per eccedenza di IRPEF – oltre che a quello per eccedenza di IVA detraibile – maturato in un periodo d’imposta per il quale la dichiarazione è stata omessa la possibilità del riconoscimento, da parte del giudice tributario, nel giudizio d’impugnazione della cartella di pagamento emessa a seguito del controllo automatizzato della dichiarazione per il periodo successivo nella quale detto credito è stato riportato”

Il principio in questione era: “[i]n caso di errori od omissioni nella dichiarazione dei redditi, la dichiarazione integrativa può essere presentata non oltre i termini di cui all’art. 43 del d.P.R. n. 600 del 1973 se diretta ad evitare un danno per la P.A. (art. 2, comma 8, del d.P.R. n. 322 del 1998), mentre, se intesa, ai sensi del successivo comma 8 bis, ad emendare errori od omissioni in danno del contribuente, incontra il termine per la presentazione della dichiarazione per il periodo d’imposta successivo, con compensazione del credito eventualmente risultante, fermo restando che il contribuente può chiedere il rimborso entro quarantotto mesi dal versamento ed, in ogni caso, opporsi, in sede contenziosa, alla maggiore pretesa tributaria dell’Amministrazione finanziaria”.

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