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Ai sensi dell’art. 26, comma 2, del DPR 633/72, “(…) Se un'operazione per la quale sia stata emessa fattura, successivamente alla registrazione (…) viene meno in tutto o in parte, o se ne riduce l'ammontare imponibile, in conseguenza di (…) mancato pagamento in tutto o in parte a causa di procedure concorsuali (…) il cedente del bene o prestatore del servizio ha diritto di portare in detrazione ai sensi dell'articolo 19 l'imposta corrispondente alla variazione, registrandola a norma dell'articolo 25”.

Il comma 3 del medesimo articolo prevede dei limiti temporali. Tali limiti non si applicano ai casi di emissione della nota di accredito quale conseguenza delle procedure concorsuali. La variazione, pertanto, può essere operata anche a diversi anni di distanza dall’operazione principale.

Per poter esercitare questa facoltà, tuttavia, deve sussistere uno specifico presupposto. “Il diritto alla variazione è subordinato all’avvenuto accertamento dell’infruttuosità della procedura, dovendosene escludere l’insorgenza a seguito della mera pendenza della stessa”. (Ris. 195/E de 16/05/2008).

Nello specifico in caso di fallimento, il mancato pagamento si realizza:

- a seguito della ripartizione finale dell’attivo (ris. 5. 5.2009, n. 120/E);

- oppure, in mancanza, con la scadenza del termine per il reclamo al decreto di chiusura del fallimento.

Quindi, al verificarsi del presupposto (infruttuosità della procedura), “documentato” dal riparto finale oppure dall’esecutività del decreto di chiusura, è possibile emettere la nota di variazione.

Con la risposta 438 di ottobre 2019, all’Interpello articolo 11, comma 1, lettera a), legge 27 luglio 2000, n. 212 intitolato: “chiusura procedura concorsuale - termine per l'emissione della nota divariazione”, l’Agenzia delle entrate ritorna sul tema in oggetto.

La domanda posta dall’istante era: “(…) il termine per l'emissione della nota di variazione (…)” decorre “(…) dal deposito del decreto di chiusura (…)” o “(…) dall'annotazione dello stesso presso il registro delle imprese”? Nel caso di specie la chiusura del fallimento era avvenuta nel 2013, ma era stata iscritta al registro delle imprese solo nel 2019.

L’Agenzia, richiamando l’art. 26 della L.F., nel quale sono indicati i termini per opporre il reclamo contro i decreti del Giudice (e quindi anche il decreto di chiusura della procedura), ricorda che è previsto un termine perentorio di 10 giorni dalla comunicazione del decreto medesimo. Inoltre, “Indipendentemente dalla previsione di cui al terzo comma, il reclamo non può più proporsi decorso il termine perentorio di novanta giorni dal deposito del provvedimento in cancelleria”. Questa disposizione deve leggersi in questo senso: se non vi c’è stata la comunicazione o la notificazione del provvedimento, allora è previsto un termine lungo.

L’agenzia pertanto conclude: “posto che, nel caso di specie, il deposito del provvedimento ha avuto luogo nel 2013, ne consegue che, agli effetti della norma da ultimo citata, i termini per proporre reclamo al decreto risultano ormai scaduti e con essi, per quanto sopra esposto, risultano in conclusione scaduti anche i termini per l'emissione della nota di variazione di cui all'articolo 26, comma 2 del decreto IVA” .

Questa risposta fa emergere alcuni dubbi.

Sembra infatti che il presupposto per l’emissione della nota di accredito (infruttuosità della procedura data dal decorso del termine per il reclamo) sia contemporaneamente anche il termine ultimo per poter emettere la nota di accredito. Questo è evidentemente un controsenso.

L’agenzia poi ricorda che “Stante il rinvio all'articolo 19 del medesimo decreto IVA, contenuto nel citato articolo 26, il diritto alla detrazione poteva essere esercitato, ratione temporis, al più tardi con la dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui il diritto alla detrazione è sorto ed alle condizioni esistenti al momento della nascita del diritto medesimo”.

Certamente la risposta appare confusa. Infatti, l’agenzia afferma che il termine ultimo per emettere la nota di accredito non è (come aveva detto prima) il termine lungo per il reclamo, ma bensì la presentazione della dichiarazione relativa al secondo anno successivo a quello in cui è sorto il diritto. Quindi, il secondo anno successivo a quello in cui il decreto di chiusura del fallimento è diventato definitivo.

Il termine ultimo, pertanto, per poter effettuare la variazione – così come disposto dall’art. 19 del DPR 633/72 ad oggi in vigore è: “(…) è esercitato al più tardi con la dichiarazione relativa all' anno in cui il diritto alla detrazione (…)”.

Ma cosa succede se il fallimento ha chiuso la p.i.? Nulla di preoccupante. L’emissione della nota di variazione può essere comunque effettuata. Qualche dubbio è sorto con l’introduzione della fatturazione elettronica, perché c’era il rischio, essendo la partita iva cessata, dello scarto della fattura da parte del sistema.

L’agenzia delle entrate ha risposto a questo quesito sottolineando che: “nel caso in cui la fattura elettronica riporti un numero di partita IVA ovvero un codice fiscale del cessionario/committente inesistente in Anagrafe Tributaria, il SdI scarta la fattura in quanto la stessa non è conforme alle prescrizioni dell'articolo 21 del d.P.R. n. 633/72. Nel caso in cui la fattura elettronica riporti un numero di partita IVA cessata ovvero un codice fiscale di un soggetto deceduto ma entrambi esistenti in Anagrafe Tributaria, il SdI non scarta la fattura e la stessa sarà correttamente emessa ai fini fiscali: in tali situazioni l'Agenzia delle entrate potrà eventualmente effettuare controlli successivi per riscontrare la veridicità dell'operazione”. L’agenzia inoltre ha specificato che per evitare lo scarto dalle fattura (che avrebbe imponibile pari a zero) “è possibile emettere una fattura elettronica con solo IVA utilizzando il tipo documento “Fattura semplificata””

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