NON IMPONIBILITA' IVA ANCHE PRIMA DELLA RICEZIONE DELLA LETTERA DI INTENTO
- Scritto da Dott.ssa Anna Sgambaro

L'art. 8, comma 1, lettera c), del D.P.R. n.633 del 1972, la mancata ricezione della lettera d’intento e il Principio affermato della corte di Cassazione
La Corte di Cassazione con la Sentenza n. 9586 del 5 aprile 2019 ha affermato il seguente principio: “In tema di IVA, il regime di cessione (all'esportazione) in sospensione d'imposta, di cui all'art. 8 del d.P.R. n. 633 del 1972 (ratione temporis applicabile), può essere legittimamente applicato dal cedente anche prima dalla ricezione, da parte dello stesso, della dichiarazione di cui all'art. 1, del d.l. 29 dicembre 1983, n. 746 (ratine temporis applicabile), a condizione che egli provi la sussistenza di tutti i presupposti fattuali caratterizzanti la detta cessione, in quanto derogatoria rispetto alla disciplina ordinaria. Per il caso in cui la tardiva dichiarazione si manifesti ideologicamente falsa, il cedente deve dimostrare l'assenza di un proprio coinvolgimento nell'attività fraudolenta, ossia di non essere stato a conoscenza dell'assenza delle condizioni legali per l'applicazione del regime in esame o di non essersene potuto rendere conto pur avendo adottato tutte le ragionevoli misure in suo potere”.
Il caso portato all’attenzione dei Giudici concerne un avviso di accertamento relativo all’anno d’imposta 2004 dove – tra le altre cose – viene contestata dall’Amministrazione Finanziaria l’emissione di fatture di vendita in violazione dell'art. 8, comma 1, lettera c), del D.P.R. n.633 del 1972. In particolare l’Ufficio lamentava il fatto che alcune dichiarazioni (o lettere) d'intento degli esportatori erano state consegnate al cedente dopo l'effettuazione delle relative operazioni (consegna dei beni), in violazione del citato art. 1 (nella versione applicabile all’anno oggetto di accertamento). La società ricorrente eccepiva “la mera natura formale della violazione (…) essendo stati comunque consegnati i detti documenti al cedente, ancorché tardivamente”.
Ricordiamo che per l’anno oggetto di accertamento la dichiarazione d'intento doveva essere consegnata o spedita “(…) al fornitore o prestatore, ovvero presentata in dogana, prima dell'effettuazione della operazione”. Inoltre doveva essere “(…) redatta in duplice esemplare, (…) progressivamente numerata dal dichiarante e dal fornitore o prestatore, (…) annotata entro i quindici giorni successivi a quello di emissione o ricevimento in apposito registro tenuto a norma dell'art. 39 del D.P.R. n. 633 del 1972, e successive modificazioni, e conservata a norma dello stesso articolo”.
Ebbene, la Cassazione “(…) onde evitare che la disciplina in materia di IVA relativa alle «cessioni all'esportazione» non sia applicata in ragione di mere circostanze formali (…)”, considerato il “(…) diritto eurounitario in materia di IVA quale tributo armonizzato (…)”, ritiene superabile la tardiva comunicazione della dichiarazione d’intento. Tra gli argomenti portati dalla Suprema Corte, nell’iter di valutazione del caso, c’è la casistica relativa alle cessioni comunitarie. Infatti, la Corte propone un parallelismo tra il caso in oggetto e le cessioni comunitarie in caso di mancata o errata comunicazione da parte del cessionario del proprio codice IVA, ovvero dell’iscrizione al VIES. Ricordiamo, infatti, che anche l’iscrizione al VIES è stata considerata dalla Cassazione (Sentenza n. 25651 del 2018) come violazione meramente formale e, quindi, come violazione che non incide sul regime di non imponibilità.
Nonostante la decisione della Cassazione si riferisca al regime in vigore nel 2004, si ritiene che la stessa possa avere implicazioni anche nel regime odierno. Infatti, nonostante la norma non preveda l’esplicita consegna della dichiarazione d’intento prima dell’effettuazione dell’operazione, viene prevista comunque la trasmissione telematica della stessa da parte del cessionario e, solo dopo la ricezione della ricevuta da parte dell’Agenzia delle Entrate, il fornitore procede all’emissione della fattura con l’indicazione della non imponibilità. Il fornitore, infatti, deve verificare la trasmissione all’Agenzia delle Entrate prima di effettuare la relativa operazione (circ. Agenzia delle Entrate 30 dicembre 2014 n. 31).
Per altro le sanzioni applicate sono diverse a seconda che il fornitore emetta fattura prima di aver ricevuto dal cessionario la dichiarazione di intento e la ricevuta telematica (sanzione amministrativa in misura fissa con un minimo di euro 250), rispetto al caso di mancata dichiarazione d’intento (sanzioni amministrativa proporzionale).