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L’Irretroattività del DL 16/2012 e i tempi di accertamento per l’erogazione della sanzione.

Il Decreto legge 02/03/2012 n. 16, intitolato “Disposizioni urgenti in materia di semplificazioni tributarie, di efficientamento e potenziamento delle procedure di accertamento”, prevede all’articolo 8, comma 2 che: “ Ai fini dell'accertamento delle imposte sui redditi non concorrono alla formazione del reddito oggetto di rettifica i componenti positivi direttamente afferenti a spese o altri componenti negativi relativi a beni o servizi non effettivamente scambiati o prestati, entro i limiti dell'ammontare non ammesso in deduzione delle predette spese o altri componenti negativi. In tal caso si applica la sanzione amministrativa dal 25 al 50 per cento dell'ammontare delle spese o altri componenti negativi relativi a beni o servizi non effettivamente scambiati o prestati indicati nella dichiarazione dei redditi. In nessun caso si applicano le disposizioni di cui all'articolo 12 del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472, e la sanzione è riducibile esclusivamente ai sensi dell'articolo 16, comma 3, del decreto legislativo 18 dicembre 1997, n. 472”.

In altre parole, nel caso di operazioni oggettivamente inesistenti, vengono esclusi dalla base imponibile delle imposte dirette i ricavi dichiarati e connessi ai costi fittizi, nei limiti del valore di quest’ultimi.

Vi sono alcuni dubbi interpretativi:

- la norma è applicabile retroattivamente? Ovvero è migliorativa rispetto al sistema previgente?

- la sanzione amministrativa del 25%, calcolata sul valore dei componenti negativi, è collegata al tributo? Perché se non lo fosse il termine di decadenza non è quello dell’accertamento, ma quello di cinque anni previsto dall’art. 20 del DLgs. 472/97.

Non è semplice fornire una risposta al primo quesito visto che, prima dell’entrata in vigore del DL 16/2012, non era chiaro se i ricavi dichiarati e afferenti ai costi fittizi fossero da considerare anche loro fittizi e, quindi, non concorressero alla determinazione della base imponibile. La questione per altro è stata trattata dalla giurisprudenza con orientamenti contrapposti.

La sentenza della Cassazione civ. Sez. V, 12-12-2003, n. 19062 stabiliva che “Qualora, dall'esame della dichiarazione dei redditi del contribuente, risulti l'esistenza di false fatturazioni, la rettifica di essa da parte dell'amministrazione finanziaria, a mezzo di accertamento induttivo, deve essere effettuata mediante ricostruzione, anche in via analitica, di tutte le voci che hanno determinato il reddito imponibile, ovvero prendendo in considerazione tutte le componenti infedelmente dichiarate, sia che esso giovi amministrazione (…), sia che giovi al contribuente, determinando un abbattimento della base imponibile (…)”, senza che sia stato previsto un limite quantitativo.

Altre sentenze non ritenevano, invece, dovuta l’esclusione dei ricavi fittizi, anche in ragione dell’applicazione del principio IVA dell’art. 21, comma 7 del DPR 633/72 (da applicarsi in questo caso anche alle imposte dirette Cass. n. 12918/2007). Se questa fosse l’interpretazione/ orientamento che andava per la maggiore nel regime precedente, allora – sicuramente -  la nuova disciplina sarà più favorevole.

In merito al secondo dubbio interpretativo, la prassi ministeriale nella circolare 32/E del 2012 ha semplicemente affermato che la sanzione viene irrogata con un atto di contestazione, non applicandosi i benefici del cumulo giuridico.  Non è, pertanto, chiaro se la sanzione sia o meno collegata al tributo, con gli ovvi riflessi sui tempi dell’accertamento.

Nel caso trattato dalla C.T. Reg. Lombardia con sentenza n. 2884/24/2018, l’Ufficio applicava la sanzione del 25% prevista dall’art. 8, comma 2 ad annualità anteriore all’entrata in vigore della norma sanzionatoria, sul presupposto che la norma recasse un beneficio al contribuente rispetto al regime precedente. Inoltre, l’accertamento non veniva effettuato nel termine di cinque anni, ma il termine veniva “raddoppiato” nei termini di cui all’art. 43 DPR 600/73, per la rilevanza penale del fatto. 

La Commissione Regionale accoglie il ricorso del contribuente. Infatti, “come si ricava dalla formulazione letterale, la sanzione è correlata in generale alle imposte sui redditi e non ad uno specifico tributo, che del resto nemmeno l'Ufficio appellante è stato in grado di individuare”. Inoltre, “il comma 4-bis dell'art. 14 era così formulato: -Nella determinazione dei redditi di cui all'articolo 6, comma 1, del testo unico delle imposte sui redditi, di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917, non sono ammessi in deduzione i costi e le spese riconducibili a fatti, atti o attività qualificabili come reato, fatto salvo l'esercizio dei diritti costituzionalmente garantiti-. (…) in base alle modifiche apportate dall'art. 8 del D.L. n. 16 del 2012, da un lato viene confermata l'indeducibilità dei costi sostenuti per beni o prestazioni di servizi-direttamente utilizzati per il compimento di atti o attività qualificabili come delitto non colposo-; (comma 1); e dall'altro lato viene introdotta analoga conseguenza, con l'applicazione della sanzione amministrativa pecuniaria dal 25 al 50 per cento degli importi, per i costi relativi ad operazioni inesistenti. Pertanto, lungi dall'esservi stata per quest'ultima fattispecie una successione di leggi nel tempo nell'ambito della quale deve essere individuata la norma più favorevole, la novella del 2012 ha in realtà introdotto una nuova fattispecie di illecito amministrativo tributario, che dunque non può essere applicato retroattivamente”.

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