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Quand’è che una norma ha applicazione retroattiva? La differenza tra norma sostanziale e procedimentale e i limiti della norma retroattiva.

1) Le norme retroattive

Secondo quanto previsto dall’art. 11 delle preleggi: “la legge non dispone che per l'avvenire: essa non ha effetto retroattivo”.

Vi sono, tuttavia, dei casi in cui alla norma tributaria è attribuito il carattere della retroattiva. 

a) Le leggi di interpretazione autentica

Le leggi tributarie retroattive possono essere leggi di interpretazione autentica. In questo caso il legislatore svolge il ruolo di “interprete”.

La legge di interpretazione autentica è rivolta a chiarire il contenuto di una precedente disposizione legislativa, precisando il significato concepito dal legislatore all’origine. La norma interpretativa manca di autonomia rispetto alla norma di base: essa, pertanto, si integra con la disposizione che interpreta/specifica, ma non può e non deve sostituirla. 

Spesso il legislatore “maschera” come norme di interpretazione autentica, norme che di fatto non lo sono. Si tratta di norme che hanno un contenuto nuovo e introducono nell’ordinamento una regola che prima non esisteva. L’intervento legislativo, in questo caso, non è rivolto né ad eliminare le varie interpretazioni alternative, né a risolvere i contrasti giurisprudenziali, né a fornire un chiarimento ad una formulazione linguistica oscura/complicata. 

b) Le tre categorie delle leggi 

Le leggi tributarie possono appartenere a tre categorie: quelle sostanziali (o impositrici/sanzionatorie), quelle formali o procedimentali e quelle processuali. 

Quelle procedimentali, in ambito fiscale, sono dirette a regolare gli obblighi strumentali alla corretta attuazione del prelievo tributario e si rivolgono sia ai contribuenti, sia all’Amministrazione finanziaria (es. la presentazione di dichiarazioni, le modalità di versamento).

Le norma procedimentali posso essere retroattive.

Le norme sostanziali differiscono dalle norme procedimentali. 

In particolare per le norme sostanziali vale il principio del factum praeteritum (del fatto compiuto): la nuova legge, disponendo solo per l’avvenire, non modifica la valutazione normativa delle condotte relative a fatti verificatesi anteriormente all’entrata in vigore della nuova norma. 

Per le norme procedimentali, invece, vale il principio del tempus regit actum: la nuova norma regola esclusivamente la condotta (procedimentale) che è posta in essere successivamente alla sua entrata in vigore. 

Le norme procedimentali hanno effetto “retroattivo”, solo nel caso in cui i procedimenti a cui si riferiscono non siano ancora conclusi per decadenza dei termini.

Si ricorda infine che si considerano norme sostanziali anche le disposizioni che modificano l’onere della prova introducendo a carico di una parte oneri probatori prima inesistenti. Si tratta, infatti, di norme che costringono il contribuente ad addurre prove che non era tenuto a precostituirsi al tempo del perfezionamento della fattispecie sostanziale del tributo. Se si attribuisse effetto retroattivo a questa tipologia di disposizione, verrebbe violato il principio del legittimo affidamento riposto dal contribuente nella posizione dell’onere della prova in capo all’Amministrazione Finanziaria del maggior reddito del contribuente. Inoltre, verrebbe violato l’art. 24 Cost., in quanto il diritto alla prova è corollario del diritto alla difesa. 

2) I vincoli della retroattività: ragionevolezza, capacità contributiva, certezza del diritto e legittimo affidamento.

La norma retroattiva è sottoposta a specifici vincoli.

E’ bene ricordare, infatti, che il provvedimento deve sempre rispettare i precetti costituzionali, con particolare riguardo ai requisiti di ragionevolezza e uguaglianza, capacità contributiva, certezza del diritto e affidamento del contribuente. Proprio per questo ci devono essere motivazioni adeguate per applicare retroattivamente una norma, onde evitare di “tradire” l’affidamento del contribuente che può verificarsi a seguito del cambiamento della disciplina fiscale relativamente ad alcuni atti (avvenuti dopo il loro compimento degli stessi) e il conseguente venir meno della certezza di diritto.

Il principio di tutela del legittimo affidamento è valorizzato anche dalla giurisprudenza della Corte di Cassazione. Nella sentenza n. 21513 del 6 ottobre 2006 il giudice di legittimità ha precisato che tale principio trae origine dagli artt. 3, 23, 53 e 97 della Costituzione, è immanente nell’ordinamento tributario e limita l’attività legislativa e amministrativa.

Inoltre, come ricordato dalla Corte costituzionale, 22-11-2000, n. 525 è necessario “(…) soffermarsi sull'affidamento del cittadino nella sicurezza giuridica; principio che, quale elemento essenziale dello Stato di diritto, non può essere leso da norme con effetti retroattivi che incidano irragionevolmente su situazioni regolate da leggi precedenti (v. sent. n. 416 del 1999 e sent. n. 211 del 1997)”.

Tale principio ha trovato riconoscimento anche nella Giurisprudenza della Corte di Giustizia CE (Corte di Giustizia CE, 24 settembre 2002, c-255/200), e della Corte Europea dei Diritti dell’Uomo (Corte europea dei Diritti dell’Uomo 30 maggio 2000). Il principio del legittimo affidamento viene definito come “parte dell’ordinamento giuridico comunitario” da alcune pronunce della Corte di Giustizia. In certe ipotesi, il suddetto principio è stato usato come eccezione del diritto, come nel caso dell’efficacia nel tempo degli atti, che non può essere retroattiva in ossequio al principio della certezza, ma che può essere oggetto di una deroga quando lo esiga lo scopo da conseguire e purché sia fatto salvo il legittimo affidamento degli interessati (Sentenza 30 novembre 1983).

In tema di capacità contributiva, si ricorda che la Corte Costituzionale, con la sentenza n. 44/1966, ha ritenuto incostituzionale il secondo comma dell’art. 25 Legge n. 246/1963 che permetteva ai comuni di tassare plusvalori realizzati sull’alienazioni di aree fabbricabili conseguiti anche dieci anni prima. La Corte ha stabilito che veniva spezzato il nesso fra imposizione e capacità contributiva in quando il tributo si applicava su rapporti esauriti.

Il contribuente dispone di altre fonti di tutela, oltre a quelle di rango costituzionale.

Lo Statuto dei Diritti del Contribuente, infatti, all’articolo 1, comma 2, e 3 stabilisce che: “(…) L'adozione di norme interpretative in materia tributaria può essere disposta soltanto in casi eccezionali e con legge ordinaria, qualificando come tali le disposizioni di interpretazione autentica (…). Salvo quanto previsto dall'articolo 1, comma 2, le disposizioni tributarie non hanno effetto retroattivo. Relativamente ai tributi periodici le modifiche introdotte si applicano solo a partire dal periodo d'imposta successivo a quello in corso alla data di entrata in vigore delle disposizioni che le prevedono”. 

Per effetto della riportata disposizione, le modifiche alla disciplina dei tributi periodici emanate in corso d’anno non possono più retroagire all’inizio dello stesso, ma acquisiscono efficacia soltanto dall’inizio del periodo d’imposta successivo, a condizione, però, che l’intervento modificativo risulti privo di una disciplina transitoria o comunque di una specifica regola sulla “decorrenza” ovvero di una deroga “espressa” all’art. 3, comma 1, secondo periodo.

In questo modo, le condotte fiscali poste in essere dal contribuente – sulla base di una certa disciplina - hanno un’autonoma rilevanza e tutela giuridica. Si garantisce così, in presenza del sopraggiungere di una modifica normativa, l’invarianza del carico fiscale preventivato per le fattispecie imponibili già realizzate, con la possibilità, per il futuro, di adattare le proprie scelte alla nuova disciplina nell’arco temporale compreso tra il momento di entrata in vigore della modifica e l’inizio del periodo di imposta successivo.

Se la nuova disciplina influisce sull’imponibile di più periodi, deve essere comunque garantita la conoscenza della nuova disciplina prima della sua applicazione e la susseguente possibilità di pianificare le condotte per i periodi d’imposta successivi. 

La corte di Cassazione con sentenza n. 7080 del 14 aprile 2004 ha ricordato che “ogni qual volta una normativa fiscale sia suscettibile di una duplice interpretazione, una che ne comporti la retroattività ed una che l’escluda, l’interprete dovrà dare preferenza a questa seconda interpretazione come conforme a criteri generali introdotto con lo Statuto del contribuente, e attraverso di esso ai valori costituzionali intesi in senso ampio e interpretati direttamente dallo stesso legislatore attraverso lo Statuto”.

Un ultima considerazione in merito all’art. 1 del primo protocollo CEDU, in tema di protezione della proprietà. La Corte europea ha ritenuto confliggenti con tale diritto la irragionevole retroattività della norma ove abbia contenuto sostanziale (Corte EDU sentenza 16 giugno 2010, Belmonte c. Italia, ricorso n. 72638/01) ovvero procedimentale (Corte EDU sentenza 23 luglio 2009, Joubert c. Francia, ricorso n. 30345/0).

 

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