INESISTENZA SOGGETTIVA
- Scritto da Dott.ssa Anna Sgambaro

L’inesistenza soggettiva: le prese di posizione più recenti della Corte di Cassazione.
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Cass. civ. Sez. V Ord., 31-01-2019, n. 2853 (MASSIMA): “L'art. 60-bis, comma 2, D.P.R. n. 633 del 1972, che prevede la responsabilità solidale del cessionario in caso di mancato versamento dell'IVA da parte del cedente per le cessioni dei beni individuati dal D.M. 22 dicembre 2005 e successive modifiche, qualora siano effettuate a prezzi inferiori al valore normale, presuppone - a differenza dell'art. 21, comma 7, D.P.R. n. 633 citato, che concerne l'emissione di fatture per operazioni inesistenti – la effettività dell'operazione, sottofatturata rispetto al valore normale della cessione, tanto in relazione alla realtà economica, quanto al rapporto intersoggettivo tra cedente e cessionario. Di talché deve ritenersi consentito a quest'ultimo di portare in detrazione l'IVA non versata dal cedente e per la quale è stato chiamato al pagamento come obbligato solidale. L'art. 60-bis, D.P.R. n. 633 del 1972 non trova applicazione in presenza di una operazione soggettivamente inesistente, che si verifica in caso di interposizione fittizia del cedente e che impedisce al fittizio cessionario di portare in detrazione la fattura.”
Nel testo della Sentenza, la Corte specifica che l‘ipotesi di operazione soggettivamente inesistente “(…) si verifica in caso di interposizione fittizia del cedente, il quale, non essendo il soggetto che realmente compie la operazione economica, non assume la qualità di soggetto passivo e non è pertanto legittimato ad emettere fattura, né a pretendere l'Iva in rivalsa.
Il settore interessato è quello della compravendita di veicoli.
L’Amministrazione Finanziaria negli avvisi di accertamento “(…) disponeva il recupero a tassazione dei costi sprovvisti del requisito della certezza ex art. 109 TUIR e l'indebita detrazione Iva in violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 19, nonché per maggiori importi di Ires e Irap”. Uno dei motivi sollevati dal ricorrente (cessionario) era la violazione del D.P.R. n. 633 del 1972, art. 60-bis, ai sensi del quale: “In caso di mancato versamento dell'imposta da parte del cedente relativa a cessioni effettuate a prezzi inferiori al valore normale, il cessionario, soggetto agli adempimenti ai fini del presente decreto, è obbligato solidalmente al pagamento della predetta imposta.”
Ebbene, per la Cassazione il richiamo al suddetto articolo è del tutto erroneo, per i seguenti motivi:
- la norma citata dal ricorrente non implica la rettifica della posizione del cessionario e “(…) l'obbligazione solidale (…)” trova applicazione “(…) per il semplice fatto giuridico dell'omesso versamento del dovuto da parte del cedente, senza alcuna necessità di attività accertativa (Cass. n. 17171 del 2018)”;
- manca, nel caso di inesistenza soggettiva, la relazione tra cedente e cessionario. Infatti, “(…) in presenza di una operazione soggettivamente inesistente il cessionario non può essere chiamato a rispondere dell'obbligazione tributaria del fittizio cedente, mentre - ricorrendone i presupposti - potrà essere chiamato a rispondere in solido per l'omesso versamento Iva, non fatturata, da parte del reale fornitore (effettivo cedente) della merce nei confronti del quale si è realizzato il presupposto d'imposta”;
- la solidarietà concerne il mancato versamento dell’iva e non la detrazione. Infatti, “(…) il D.P.R. n. 633 del 1972, art. 60-bis, (…) riguarda la diversa ipotesi della solidarietà del cessionario nell'obbligazione tributaria del cedente, nei confronti di alcuni beni individuati attraverso un decreto ministeriale (D.M. 22 dicembre 2005 e successive modifiche, che prevede, tra i diversi beni, gli autoveicoli, i motoveicoli e i rimorchi), qualora il venditore non provveda al versamento dell'imposta dovuta e la cessione sia stata effettuata a un prezzo inferiore al valore normale”.
Cassazione penale, sentenza n. 53637 del 29 novembre 2018: “La consapevolezza da parte del contribuente di partecipare a un sistema sofisticato di frode fiscale comporta tuttora l'indeducibilità di qualsiasi componente negativo (costi o spese) riconducibile a fatti, atti o attività qualificabili come reato, per violazione del principio di inerenza, laddove la mancanza di tale consapevolezza comporta la deducibilità del costo, salvo che i componenti negativi del reddito siano comunque relativi a beni e servizi direttamente utilizzati per il compimento di atti o attività che configurino condotte delittuose non colpose”.
“(…) La ragione principale dell'indeducibilità dei costi in vicende come quelle note con il nome di <<frode carosello>> s ta nella violazion(…) e del <<principio dell'inerenza>> dei costi (…). Ciò in quanto il principio di inerenza richiede (…) che tra il costo che si vuole dedurre e l'esercizio dell'attività imprenditoriale sussista un nesso di causa ed effetto ed i "costi da reato" non hanno alcun rapporto di carattere funzionale con l'esercizio dell'attività di impresa perché evidentemente estranei all'attività di questa (cfr. amplius Sez. 3 n. 42994 cit.).” (punto 7.1.2.). Pertanto il costo sostenuto per l’acquisto di beni da un soggetto diverso da quello reale è direttamente correlato alla frode, infatti, “(…) senza la compartecipazione dell'impresa (cd. destinataria finale) alla condivisione del meccanismo fraudolento gli interessi erariali dello Stato non sarebbero pregiudicati nè ai fini delle imposte indirette nè ai fini di quelle dirette (così, Sez. 3 n. 42994 cit.). Con la conseguenza che divengono indeducibili i costi in contrasto con i principi di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità”.
Inoltre, “(…) la disposizione di cui alla L. n. 537 del 1993, art. 14, comma 4-bis, - siccome modificato dal D.L. n. 16 del 2012, art. 8, convertito in L. n. 44 del 2012 – non esplica alcuna rilevanza ai fini della determinazione dell’ammontare dell’imposta evasa in relazione al reato di dichiarazione fraudolenta mediante utilizzazione di fatture per operazioni inesistenti, perché trattasi di previsione che, nel prevedere l’indeducibilità dei soli componenti negativi relativi a beni o servizi direttamente utilizzati per il compimento di delitti non colposi, si limita a stabilire una regola per le procedure di accertamento tributario ai fini delle imposte sui redditi, ma non implica la deducibilità di costi e spese esposti in fatture riferite a soggetti diversi da quelli effettivi” (punto 7.1.4)
In caso di inesistenza soggettiva, pertanto, i costi sono indeducibili poiché la norma che solitamente viene richiamata per definirne la deducibilità, ha esclusivamente carattere procedurale.
Di senso opposto invece le sentenze civili.
Cass. 15 marzo 2017 n. 6687: “In tema di imposte sui redditi, sono deducibili i costi delle operazioni soggettivamente inesistenti (inserite, o meno, in una “frode carosello”), per il solo fatto che essi sono stati sostenuti, anche nell’ipotesi in cui l’acquirente sia consapevole del carattere fraudolento delle operazioni, salvo che si tratti di costi in contrasto con i principi di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità, oppure di costi relativi a beni o servizi direttamente utilizzati per il compimento di un delitto non colposo. (…)”, il fatto che “(…) il soggetto passivo sapeva o avrebbe dovuto sapere che l’operazione invocata a fondamento del diritto a detrazione s’iscriveva in una frode fiscale (…) è invece insufficiente a giustificare, per ciò solo, la indetraibilità dei costi ai fini delle imposte sul reddito, posto il principio sopra richiamato, che imponeva al giudice tributario di verificare se, al di là dalla inesistenza soggettiva delle operazioni, ricorressero i requisiti di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità del costo”.
Dello stesso tenore la sentenza n. 25249 del 7 dicembre 2016 sempre della Cassazione.
In altre parole, se manca la diretta causalità tra costo e attività (qualificata come delitto colposo), cosa che per l’appunto avviene in caso di inesistenza soggettiva, allora, il costo può essere dedotto. Tale questione era già stata dibattuta dalla Cassazione con la sentenza n. 116661 del 2015 nel quale i giudici facevano osservare che “(…) sul tema questa Corte ha già avuto occasione più volte di rilevare (…) che in forza della nuova normativa, poiché nel caso di operazioni soggettivamente inesistenti, i beni acquistati – di regola (salvo il caso, ad esempio, in cui il “costo” sia consistito nel “compenso” versato all’emittente il falso documento) – non sono stati utilizzati direttamente per commettere il reato, ma, nella maggior parte dei casi, per essere commercializzati, non è più sufficiente il coinvolgimento, anche consapevole, dell’acquirente in operazioni fatturate da soggetto diverso dall’effettivo venditore perché non siano deducibili, ai fini delle imposte sui redditi, i costi relativi a dette operazioni. Resta, peraltro, pur sempre ferma la verifica della concreta deducibilità dei costi stessi in relazione ai requisiti generali di effettività, inerenza, competenza, certezza, determinatezza o determinabilità (cfr. Cass. 10167/2012; 3258/2013)”
In questo senso si è espressa anche l‘Agenzia dell’Entrate con la Circolare 32 del 3 agosto 2012, che ha trattato le disposizioni in materia di indeducibilità di costi e spese direttamente utilizzati per il compimento di atti o attività qualificabili come delitto non colposo (…) Art. 8, commi 1, 2 e 3, del D.L. 2 marzo 2012, n. 16, convertito con modificazioni dalla L. 26 aprile 2012, n. 44.
Si potrebbe obiettare alla sentenza penale, citando la circolare dell’Agenzia: “(…) agli effetti della nuova disposizione, l'indeducibilità del costo opera ove vi sia stato un diretto utilizzo dei beni o servizi per il compimento dell'attività delittuosa, ne consegue che i costi relativi all'acquisizione di beni o servizi che, ancorché documentati da fatture per operazioni soggettivamente inesistenti, non siano stati utilizzati per il compimento di alcun reato, sono deducibili, ove, ovviamente, ricorrano i requisiti generali di deducibilità dei costi previsti dal testo unico delle imposte sui redditi, di cui al D.P.R. 22 dicembre 1986, n. 917”.
Il costo sostenuto – anche se in presenza di inesistenza soggettiva – è sostenuto per l’attività d’impresa e non per commettere reato.
Infatti, “(…) anche in presenza del reato di dichiarazione fraudolenta mediante uso di fatture o altri documenti per operazioni inesistenti di cui all'art. 2 del D.Lgs. 10 marzo 2000, n. 74, il costo esposto nella fattura c.d. "soggettivamente inesistente" non rappresenta, solo per tale motivo, quello dei beni o delle prestazioni di servizio direttamente utilizzati per la commissione del reato stesso (…)”.