Caso di studio: conduttore che non paga i canoni su immobile commerciale. Cosa dichiarare ai fini fiscali. 

GOOGLE: Come ci si deve comportare per non pagare IRPEF, quando il conduttore non paga i canoni di locazione? La risoluzione retroattiva del contratto può essere una valida strategia?

Nella caso oggetto di studio la risoluzione del contratto commerciale era intervenuta già a gennaio 2017, poiché il mancato pagamento del canone determinava la risoluzione ipso iure (come da clausola contrattuale). Il locatore, infatti, ha diffidato il conduttore ad adempiere, dichiarando che se non avesse rispettato i termini del contratto si sarebbe avvalso della facoltà di risolvere il contratto. Successivamente, per vedere riconosciuta in giudizio tale risoluzione ma, soprattutto, per liberare il proprio immobile il locatore adiva a vie legali. Infine otteneva uno sfratto esecutivo. Nessuna imposta di registro era stata pagata per la risoluzione del contratto, in quanto il deposito della sentenza che convalida lo sfratto costituisce ex lege atto di risoluzione del contratto e non serve adempiere ad alcun pagamento aggiuntivo.

L’art. 26, comma 1, del DPR 917/86 stabilisce che “i redditi fondiari concorrono, indipendentemente dalla percezione, a formare il reddito complessivo dei soggetti che possiedono gli immobili a titolo di proprietà, (…)”. Inoltre, ai sensi dell’art. 37, comma 4-bis del medesimo decreto: “Qualora il canone risultante dal contratto di locazione, ridotto forfetariamente del 5 per cento, sia superiore al reddito medio ordinario di cui al comma 1, il reddito è determinato in misura pari a quella del canone di locazione al netto di tale riduzione. (…)”. Pertanto, per i fabbricati o porzioni di fabbricato concessi in locazione a terzi il reddito viene determinato assumendo il maggiore ammontare tra il canone risultante dal contratto di locazione (indipendentemente dalla percezione), ridotto forfettariamente del 5%, e la rendita catastale iscritta in Catasto.

Solo per gli immobili civili abitativi è prevista, allo stesso articolo 26, un eccezione, una sorta di clausola di salvaguardia. Infatti, “i redditi derivanti da contratti di locazione di immobili ad uso abitativo, se non percepiti, non concorrono a formare il reddito dal momento della conclusione del procedimento giurisdizionale di convalida di sfratto per morosità del conduttore”.

Come possiamo fare, allora, se siamo proprietari di un immobile commerciale e abbiamo problemi con il conduttore?   

L’agenzia delle Entrate per gli immobili commerciali richiama solitamente una datata circolare dell’Agenzia delle Entrate, la n. 150 del 07/07/1999 (paragrafo 1.1) e una più recente, la n. 11 del 2014. La risposta è sempre la medesima: l’immobile oggetto del contratto non è un immobile civile abitativo e, pertanto, il canone deve essere imputato nella determinazione del reddito, anche se non percepito, fino a quanto il locatore non sia rientrato in possesso dell’immobile.

Vi sono, tuttavia, delle ipotesi per le quali non trova applicazione il criterio dell’imposizione riferito al canone di locazione, anche per gli immobili commerciali. Tale criterio, infatti, è eccezionale e a carattere presuntivo, quindi, si deve “(…) escludere che la regola secondo cui <<i redditi fondiari concorrono, indipendentemente dalla percezione, a formare il reddito complessivo (…)>> (…) possa essere applicata in maniera indiscriminata ed irragionevole (…). L’eccezionale riferimento al reddito locativo deve (…) armonizzarsi nel contesto di un sistema (…) in coerenza con il principio di eguaglianza e con il correlativo parametro di ragionevolezza (…).” Pertanto, “(…) il riferimento al canone di locazione (anziché alla rendita catastale) potrà operare nel tempo solo fin quando risulterà in vita un contratto di locazione e quindi sarà dovuto un canone in senso tecnico. Quando, invece, la locazione (rapporto contrattuale) sia cessata per scadenza del termine (art. 1596 cod. civ.) ed il locatore pretenda la restituzione essendo in mora il locatario per il relativo obbligo, ovvero quanto si sia verificata una qualsiasi causa di risoluzione del contratto, ivi comprese quelle di inadempimento in presenza di clausola risolutiva espressa e di dichiarazione di avvalersi della clausola (art. 1456 cod. civ.), o di risoluzione a seguito di diffida ad adempiere (art. 1454 cod. civ.), tale riferimento al reddito non sarà più praticabile, tornando in vigore la regola generale (…). La risoluzione del contratto impedisce di configurare il pagamento, effettivo o solo presunto, come effettuato a titolo di canone, cui possa essere commisurata la base imponibile ai fini dell’imposta sul reddito. (…), solo nel caso di azione di risoluzione giudiziale occorrerà che il locatore attenda – per avere l’efficacia della risoluzione – la sentenza, la quale ha carattere costitutivo, anche se con effetti retroattivi” (Corte Costituzionale con sentenza n. 362 del 26.07.2000).

I principi sanciti dal Giudice delle leggi sono stati specificati e approfonditi con l’ordinanza 318 del 04/11/2004 che afferma come “(…), nei confronti del locatore di un immobile ad uso commerciale, trova applicazione il sistema normale di determinazione dell’imponibile in base al reddito ordinario medio, (…) allorché sia provata la inesigibilità del canone o la risoluzione del contratto di locazione”. 

L’inesigibilità del canone o la risoluzione del contratto rappresentano gli strumenti che il locatore ha a disposizione per vincere la presunzione di “tassazione in base ai redditi maturati”.

In questo senso anche la Suprema Corte che con sentenza n. 6911, del 7 maggio 2003, ha statuito: “(…) nel caso in cui non si debba far ricorso alla rendita catastale, i dati risultanti dal contratto di locazione forniscono solo un'indicazione presuntiva (poiché, normalmente, i proprietari percepiscono i canoni indicati nel contratto), rispetto alla quale deve ritenersi consentita la prova contraria.”

Solo in questo modo, pertanto, è garantito il principio dell’effettiva capacità contributiva.

Solitamente i contratti di locazione prevedono la seguente clausola: Il contratto si risolve automaticamente qualora il conduttore non rispetti i termini contrattuali previsti per le modalità di pagamento. Questo, poiché il presupposto per la tassazione del reddito da locazione è in ogni caso la sussistenza di un contratto di locazione. Se il contratto si risolve, allora, viene meno l’obbligo di tassare i canoni da locazione (cfr. Cass. n. 11158/2013).

Un ultima considerazione merita la sentenza della Corte di Cassazione n. 24444 del 2005. In questa sentenza si legge che l’intervenuta risoluzione consensuale del contratto di locazione, unito al mancato pagamento dei canoni relativi al periodo anteriore alla risoluzione, non basta ad escludere che tali canoni concorrano alla base imponibile IRPEF “salvo che non risulti la inequivoca volontà delle parti di attribuire alla risoluzione stessa efficacia retroattiva”. 

Tale sentenza, è stata recentemente “rivista e reinterpretata” dalla stessa Cassazione. 

La sentenza della Cassazione n. 348 del 9 gennaio 2018 dichiara che la retroattività della risoluzione consensuale non è opponibile all’Agenzia delle Entrate. I Giudici della corte riferendosi all’art. 1458 del c.c., ricordano che la risoluzione di un contratto per mutuo consenso – per contratti ad esecuzione periodica – non ha effetto sulle prestazioni già eseguite e non pregiudica i diritti dei terzi, salvi gli effetti della trascrizione della domanda di risoluzione. 

Se le parti del contratto di locazione di un immobile commerciale, anni dopo la stipula del contratto lo risolvono consensualmente con efficacia retroattiva (nel caso trattato dalla Cassazione i canoni non erano stati mai versati dal conduttore), vanno comunque assoggettati ad IRPEF i canoni non percepiti, relativi al periodo antecedente la data della risoluzione.

Il locatore per tutelarsi deve, pertanto, sempre prevedere questa clausola e intervenire in modo deciso e repentino, in caso di mancato pagamento del canone o altro caso, con la risoluzione del contratto (spedendo una raccomandata AR dichiarando di avvalersi della clausola risolutiva). Soltanto la risoluzione permette di evitare il pagamento del’Irpef. 

 

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