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La Cassazione – sezione Prima Civile - con sentenza n. 11984 del 22 giugno 2020, si è pronunciata sulla fallibilità di una società scissa, nel caso di scissione totale.

Il caso

Il caso di sviluppa come segue. Un consorzio, con atto del 27/10/2011 (iscritto nel registro imprese in data 19/12/2011) “si era scisso totalmente in due consorzi di nuova costituzione (…) e (…), alla stessa data del 19.12.2011, il Consorzio, poi fallito, si era cancellato dal registro delle imprese”. In data 5 gennaio 2012 il Consorzio è stato dichiarato fallito con sentenza n. 116. Il ricorrente aveva proposto reclamo avverso la sentenza di fallimento ai sensi dell’art. 18 L.F.. La corte d’Appello aveva “dichiarato inammissibile il reclamo perché proposto dal legale rappresentante di una società cancellata ed estinta, e cioè da soggetto non legittimato, per essere, invece, legittimati i soci della società estinta”.

“La Corte di Cassazione, investita della conseguente impugnazione, con sentenza n. 25617 del 9.12.2014, aveva accolto il ricorso, dichiarando la legittimazione del legale rappresentante della società cancellata a proporre reclamo”.

La sentenza impugnata era stata cassata, con rinvio alla corte territoriale.

La Corte di appello investita nuovamente della questione respingeva una seconda volta il ricorso.

Eccezioni sollevate

Il ricorrente adisce la Cassazione deducendo violazione e falsa applicazione dell’art. 2506 c.c. e dell’art. 10 L.F., in quanto la dichiarazione di fallimento non può colpire la società scissa, ma quella beneficiaria della scissione. Nello specifico “si osserva che, a seguito dell’operazione di scissione totale, la società scissa si estingue e l’attività continua in capo alle beneficiarie che assumono i diritti e gli obblighi corrispondenti alla quota di patrimonio loro trasferita”.

La decisione della Corte

Il citato art. 10 L.F. postula gli imprenditori individuali e collettivi possono essere dichiarati falliti entro un anno dalla cancellazione dal registro delle imprese, se l’insolvenza si è manifestata anteriormente alla medesima o entro l’anno successivo. In caso di impresa individuale o di cancellazione di ufficio degli imprenditori collettivi, è fatta salva la facoltà per il creditore o per il pubblico ministero di dimostrare il momento dell’effettiva cessazione dell’attività da cui decorre il termine del primo comma.”. Tale articolo, pertanto, “presuppone l’intervento di un fenomeno estintivo dell’impresa ovvero della compagine sociale attinta dall’istanza di fallimento nei limiti temporali previsti dalla norma in esame, con effetti successori che investono il patrimonio dell’ente e la relativa legittimazione sostanziale e processuale di quest’ultimo”. Il termine previsto dalla norma

a) Il fenomeno scissione

Nel caso di specie la Corte di Cassazione, quindi, deve “(…) approfondire se la “scissione” prevista dall’art. 2506 c.c. (…) abbia dato causa ad un fenomeno semplicemente “evolutivo e modificativo” del contratto sociale (come avviene pacificamente nel caso delle trasformazioni societarie omogenee) ovvero ad un fenomeno “estintivo” della società con la formazione di un nuovo ente (e con effetti pertanto successori), giacchè dall’accoglimento dell’una o dell’altra soluzione discende invero l’applicabilità o meno del disposto normativo di cui alla L.Fall., art. 10, con conseguente fallibilità della società debitrice (cfr. Cass. 16511/2019)”.

Ebbene, “(…) sia la giurisprudenza di questa Corte che la dottrina sono concordi nel ritenere che la trasformazione di una società da un tipo ad un altro previsto dalla legge (…) non si traduca nell’estinzione di un soggetto e nella correlativa creazione di uno nuovo in luogo di quello precedente, ma configuri una vicenda meramente evolutiva e modificativa del medesimo soggetto, la quale comporta soltanto una variazione di assetto e di struttura organizzativa, senza incidere sui rapporti processuali e sostanziali facenti capo all’originaria organizzazione societaria (Cass. 10332/2016, Cass. 13467/2011)”. “Ne consegue che la trasformazione societaria configura una vicenda meramente evolutivo-modificativa del medesimo soggetto giuridico, senza la produzione di alcun effetto successorio ed estintivo (così, sempre Cass. 16511/2019, cit. supra)”. “In termini più generali (…) qualora all’estinzione della società, di persone o di capitali, conseguente alla cancellazione dal registro delle imprese, non corrisponda il venir meno di ogni rapporto giuridico facente capo alla società estinta (…)”.

L’art 2506, comma 1, nella sua nuova formulazione introduce il termine “assegnazione” al posto di “trasferimento”, ma vi è una “(…) sostanziale identità della formula (…)”. Pertanto, “(…) la scissione societaria si accompagna ad un fenomeno successorio, ma si è precisato anche che quest’ultimo è giustificato da una modifica organizzativa del rapporto sociale (…) con la conseguenza che non è preclusa la dichiarazione del fallimento della società entro il termine di un anno dalla sua eventuale cancellazione dal registro delle imprese”.

“Del resto, diversamente ragionando si potrebbe correre il rischio di favorire operazioni negoziali volte proprio, in prossimità della decozione e della dichiarazione di fallimento delle società, a determinare la trasformazione, pur consentita dall’ordinamento, di quest’ultime in enti ovvero altre entità giuridiche non fallibili, non consentendo l’apertura del concorso dei creditori sui beni della società debitrice (così, sempre Cass. 16511/2019 (….)”.

b) la cancellazione volontaria

“La cancellazione volontaria delle società (…) rileva quale mero dato storico, fattuale, formale ed esclusivo come dies a quo per il decorso del termine annuale. Essa opera, dunque, come una presunzione legale di cessazione (…)”. “La presunzione legale è, invece, semplice nel caso di impresa individuale o di cancellazione d’ufficio degli imprenditori collettivi, consentendosi (L. Fall., art. 10, comma 2) ai creditori e al pubblico ministero – che chiedano la dichiarazione di fallimento – di dimostrare che, nonostante la cancellazione, l’attività sia effettivamente proseguita”. Pertanto, la società essendosi cancellata “(…) volontariamente dal Registro delle imprese, legittimamente è stato dichiarato fallito nel successivo anno, essendo alla cancellazione collegata – per equivalenza normativa – la cessazione dell’impresa, senza possibilità alcuna per il debitore sia di dimostrare che la cessazione è avvenuta antecedentemente, sia di dimostrare che la cessazione non è avvenuta, per inferirne la non fallibilità”.

c) La scissione totale

“Nel caso di scissione totale la società scissa non sopravvive, ma si estingue senza liquidazione: si tratta di una tecnica di estinzione alternativa alla liquidazione”. Va rilevato, peraltro, che anche la sesta direttiva comunitaria sembra sposare, in materia di scissione totale, la tesi dell’estinzione seguita da trasferimento, atteso che tale forma di scissione è definita dall’art. 2 della direttiva come: “(…) l’operazione con la quale una società, tramite uno scioglimento senza liquidazione, trasferisce a più società l’intero patrimonio attivo e passivo mediante l’attribuzione agli azionisti della società scissa di azioni delle società beneficiarie dei conferimenti risultanti dalla scissione, in seguito denominate “società beneficiarie””. Ma, soprattutto, l’art. 17 della sesta direttiva dispone che: “La scissione produce ipso jure e simultaneamente i seguenti effetti: (…) c) la società scissa si estingue”.

Si può dunque concludere nel senso che, se l’ente si è estinto (e ne è seguita la cancellazione al Registro delle imprese), non può che trovare applicazione dell’art. 10 della L.F.

La Corte, inoltre, ricorda che “(…) un fenomeno di riorganizzazione societario – quale, tra gli altri, è la scissione -, come pure, più in generale, di modificazione della struttura conformativa del debitore, non può, come principio, realizzare una causa di sottrazione dell’impresa dalla soggezione alle procedure concorsuali”.

"Va anche osservato, in termini più generali, che la responsabilità delle beneficiarie per i debiti propri della società scissa, che è sancita dalle norme dell’art. 2506 bis c.c., comma 3 e art. 2506 quater c.c., non può determinare – come pretenderebbe il ricorrente – l’elisione della responsabilità della società scissa”.

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